Se non avessi letto questarecensione (che vi consiglio caldamente di recuperare) non avrei mai acquistato
la nuova fatica in studio dei Simple Minds. Nonostante sia stato uno dei gruppi
più importanti della mia adolescenza (anni in cui, nel bene e nel male, certa
musica entra necessariamente a far parte del nostro bagaglio culturale) ho
mollato Jim Kerr e soci all’alba del loro successo planetario, quello, cioè,
decretato da un album pompato di steroidi e radio(super)friendly come Once Upon
A Time. Da lì in avanti sono stati solo nostalgici riascolti e tanti bei
ricordi. Come quello di quando, in attesa dell’inizio del primo concerto italiano degli U2
(anche questi ascoltati nel loro momento migliore, prima che le sirene
americane dell’autocelebrazione li strappassero da un sanguigno quanto
eccitante combat rock), mi ritrovai a cantare, strofa per strofa, insieme al
pubblico del Teatro Tenda Lampugnano, tutta New Gold Dream. D’altra parte, a quei tempi, c’era
un legame strettissimo che univa certe band proveniente da Regno Unito: Big
Country, Alarm, U2, Simple Minds, Aslan, tutti compatti sotto l’egida Big Music,
termine coniato dai Waterboys di Mike Scott per definire i contorni di un wall
of sound epico, energico, barricadero. Proprio da qui ripartono i Simple Minds,
richiamando i fasti di una stagione memorabile, quella in cui lo stadio di San
Siro traboccava di gente (era il 15 luglio del 1986) e loro, headliners
introdotti da Waterboys e Simply Red, aprivano le danze con una versione roboante
di Waterfront. Il loro punto più alto e l’inizio della fine: poi trent’anni (quasi)
di dischi orripilanti (Neapolis, Black & White 050505), raschi del barile (le
cover di Neon Lights) e un anonimato da imbolsiti pensionati del rock. Può mai
quella leggendaria band tornare a noi, così come avevamo iniziata ad amarla con
l’ottimo Sons And Fascination, preludio ai due capolavori che arriveranno nel
biennio successivo ? La domanda è oziosa e la risposta è chiaramente una sola: no.
Però…
Però Big Music è un disco pimpante e vitale, in cui l’ispirazione dei
tempi d’oro a tratti sembra ritrovare la strada di casa. I Simple Minds tornano
e, per parafrasare un loro celeberrimo pezzo, sono più che mai Alive And
Kicking. Delle dodici canzoni in scaletta non riesco a parlare che bene.
Nonostante certi arrangiamenti un po’ troppo pompati e caciaroni, nonostante un
certo retrò-gusto cafone e smaccatamente anacronistico, le belle canzoni non
mancano. La cover di Let The Day Begin dei Call, ad esempio, è energia pura,
suona come una Waterfront 2.0 (ciò che peraltro era nelle intenzioni del suo
autore, il compianto Michael Been). Un inizio perfetto, con l’elettronica in
crescendo di Blindfolded e Midnight Walking, un finale da applausi, con il mid
tempo malinconico di Spirited Away, e in mezzo canzoni che hanno il merito di
farsi ricordare e far ricordare i bei tempi andati (Concrete And Cherry Blossom
è per tutti quelli che cercavano un’altra Don’t You). E nonostante la brutta
bestia della nostalgia riaffiori in continuazione (bello e doloroso al contempo,
ascoltare echi di Sparkle In the Rain e New Gold Dream), Big Music si presenta
come un disco che, pur zeppo di autocitazioni, suona dannatamente moderno.
Tanto che se a pubblicarlo fosse stato un gruppetto di ggiovani pippette MTV
addicted, ora si parlerebbe di miracolo. Invece per i Simple Minds ci limitiamo
a rallegrarci, ma stiamo più schisci: da chi ha composto Someone, Somewhere In
Summertime e East At Easter, ci si attendono sempre certi standards elevati. Il
che, obiettivamente, non è più possibile. Ma va benissimo anche così: Big Music
è un gran bel disco e io ho provato ancora l'ebbrezza dei miei quindici anni. Cappotto nero, anfibi, cresta e New Gold Dream dalla mattina alla sera. Un bel regalo di Natale.
VOTO: 7,5
PS: grazie a MassimilianoMannocchia per il consiglio e l’ispirazione.
Blackswan, martedì 23/12/2014
4 commenti:
Grazie a te per la citazione. E a proposito: la tua recensione è di gran lunga migliore della mia! ;-)
@ Massimiliano: Visto che ti sono debitore, la citazione era doverosa oltre che sentita. Come recensione, lo sai bene, è cento volte migliore la tua :)
Interessante. Anch'io li ho abbandonati dopo il meraviglioso New Gold Dream, trovando, seppure orecchiabili, già fin troppo troppo poppeggianti i vari Alive and Kicking e Don't You. Il seguito, nebbia. Proverò a riesumarli.
Un abbraccio ed Auguri di Buon Natale.
... anche io negli anni del liceo ho consumato la mia copia di New Gold Dream. Bella recensione. Disco interessante. Ti segnalo che la cover del brano dei The Call era già stata pubblicata nel 2009. Anche negli "anni bui" c'era sempre qualcosa da salvare.
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