Mi è venuto in mente, ad esempio, che Gaz Coombes è
stato il leader dei Supergrass, che i Supergrass hanno pubblicato nel lontano
1995 I Should Coco, uno dei dischi più ascoltati della mia vita, e che in
quell'album c'era una canzone, Alright, che è stato un inno generazionale alla
leggerezza per tutti coloro che ai tempi avevano vent'anni o giù di
lì. Mi è venuto in mente, anche, che questo Matador mi ricorda incredibilmente
Everyday Robots (come mood più che come sonorità), pubblicato lo scorso anno
da un altro enfante prodige del britpop, Damon Albarn, e ho ripensato
che, in quella stagione, forse fin troppo bistrattata, c'era gente che le
canzoni le sapeva scrivere, e anche molto bene. E mi è venuto in mente, a
proposito di gente che sa scrivere canzoni, che Matador sarebbe il disco che i
Radiohead potrebbero tornare a comporre se, una volta tanto, decidessero
di camminare coi piedi per terra, gettassero nel cestino i loro rocamboleschi
coupe de theatre e provassero una volta tanto
a normalizzarsi, puntando alla melodia sopra ogni cosa. E mi sono
ovviamente tornati in mente anche gli anni '90, che qui affiorano ogni tanto,
come piccole imperfezioni sotto un'imbiancatura di fresco, per ricordarci non
tanto il britpop, ma la grazia con cui Jeff Buckley sapeva esaltare il suo
fragile lirismo (Seven Walls). E potrei continuare ad libitum a raccontare le
piccole, grandi, infinite suggestioni che crea l'ascolto di questo secondo
lavoro solista di Gaz Coombes, uno che a vent'anni mi faceva divertire come un
matto con Caught By The Fuzz, e oggi, alla soglia dei quaranta, imbastisce, con
un filo di malinconia e spiccioli di tetralità, la trama policroma del suo
(adult) pop. Elettronica, un pizzico di soul, palpiti
notturni, soundscapes in chiaroscuro, barbagli misurati di rock e tante,
tante idee. Alcune, a essere sinceri, non proprio nuove di zecca. Ma quel
che conta in Matador, più che l'originalità, che poi non è necessariamente
sinonimo di qualità, sono le canzoni. E di grandi canzoni, Coombes, ce ne
regala alcune, belle oltre ogni nostra più lusinghiera aspettativa. Detroit,
Buffalo, Oscillate, 20/20 sono le gemme assolute di un songwriting capace di
portare nuova luce a un suono, forse risaputo, ma raramente così
avvolgente e brillante. Tanto da costringerci ad ascolti compulsivi dettati da
sincera e irrefrenabile brama. Tanto da essere disposto a scommettere una
birra, con chiunque accetti la sfida, che a fine anno Matador sarà nelle
top ten di tutte le classifiche del 2015. Andata ?
VOTO: 8
Blackswan, giovedì 12/03/2015
2 commenti:
A me è venuto in mente che i Supergrass (assieme ai Pulp) erano infinitamente superiori a Oasis e Blur... E soprattutto che leggere i tuoi post è sempre un gran piacere.
@ Massimiliano: riceverlo da te, questo complimento vale oro. Grazie. E poi, si, meglio di Oasis e Blur c'erano i Supergrass, i Pulp e, vorrei aggiungere, i La's.
Posta un commento