venerdì 27 maggio 2016

JOEL DICKER - GLI ULTIMI GIORNI DEI NOSTRI PADRI



La Verità Sul Caso Harry Quebert fu uno straordinario successo commerciale del 2013 e, per quanto si trattasse di un romanzo furbetto e destinato al solo intrattenimento, spendemmo ai tempi parole d'elogio. Una scrittura agile ma molto classica, un intreccio narrativo superbo, costruito su due diversi piani temporali, una storia d'amore da far inumidire gli occhi e un inaspettato colpo di scena finale, sono state le armi con cui Joel Dicker si conquistò, meritatamente, le luci della ribalta. Gli Ultimi Giorni Dei Nostri Padri, scritto nel 2009 e pubblicato in Francia nel 2012, è arrivato da noi solo sul finire del 2015, suscitando un notevole interesse in tutti coloro che si erano appassionati alla vicenda di Harry Quebert. I quali, lo dico subito in tutta franchezza, resteranno probabilmente molto delusi da quest'opera prima, recuperata sull'onda del successo commerciale del suo predecessore (inteso come uscita editoriale). Gli Ultimi Giorni Dei Nostri Padri, infatti, è un romanzone d'amore e guerra che, pur narrando le oscure e interessanti vicende del SOE, risulta abbastanza scontato nello sviluppo narrativo (la parte dell'addestramento iniziale degli aspiranti agenti segreti è, ad esempio, uno dei plot più abusati del cinema e della letteratura), debolissimo nella costruzione psicologica dei personaggi, e sostanzialmente privo di quei colpi di scena che avevano infiammato le pagine di Harry Quebert. La prosa, inoltre, palesa dei grossi limiti e la sensazione è quella di un giovane Dicker che si sforzi al massimo per apparire il più classico dei romanzieri, risultando invece prolisso, nelle lunghe digressioni militaresche, e gonfio di retorica ogni volta che si trovi a parlare di sentimenti (le pagine dedicate al rapporto fra padre e figlio sono di un melenso imbarazzante). Siamo, quindi, di fronte a un romanzo d'esordio che, se da un lato fa intravvedere buone potenzialità, soprattutto per la gestione dell'intreccio, dall'altro palesa tutte le ingenuità di un principiante affetto da svenevolezza (Dicker, al momento della stesura, aveva solo 24 anni) e da una propensione alla retorica più becera e stucchevole. Una lettura sostanzialmente inutile che, per il manicheismo dei contenuti, potrebbe risultare piacevole solo come romanzo per ragazzi. 


Blackswan, venerdì 27/05/2016

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