Riceviamo dalla nostra freelance Cleopatra e integralmente pubblichiamo.
Gli Stati Uniti d'America hanno il volto di "The
Donald". La pietra scartata è dunque diventata testata d'angolo.
Con buona pace della quasi totalità dell'informazione
americana, di sondaggisti, sociologi, premi Nobel, cancellerie europee, artisti
e non, il Paperon de' Paperoni ha fatto cappotto. E pure di larga misura sulla
rivale Hillary. C'è da sorprendersi dell'hurricane Donald? Non tanto, a
giudicare dal malessere sociale che lambisce il mondo in ogni latitudine e
longitudine. Del resto, già Michael Moore lo aveva profetizzato. Donald, a
dispetto dei suoi miliardi, dei suoi eccessi, delle accuse di sessismo,
razzismo e di evasione fiscale, ha nettamente sovvertito ogni pronostico. Non è
la fine del mondo, certo, ma poco ci manca. Una riflessione però va fatta. Non
è tanto l'inversione di rotta degli americani ad averci spiazzato, quanto
l'aver preso atto del venir meno del dialogo tra cittadini e politica. O
meglio, tra i cittadini e un certo modo di fare politica, quella fatta di
mediazioni, trasformismi, equilibrismi e ipocrisie.
Si chiami Donald Trump o Mario Rossi, poco importa. La
gente si lascia sedurre dal linguaggio rude, privo di filtri. Si preferisce
l'affabulatore, l'istrione, l'uomo del "think big" o del "think
positive". Non dimentichiamo che in Italia siamo stati i precursori nella
scelta del venditore porta a porta, prima con l'ex Cavaliere, poi con il
Magnifico Matteo. In una società globalizzata e sempre più dominata da
sperequazioni sociali, l'avvento dell'uomo forte non è un'ipotesi tanto
peregrina. L'elezione americana ci serva da monito, ora che ci apprestiamo a
votare per il referendum costituzionale. I contrappesi democratici che la
riforma costituzionale mira a eliminare, ci potrebbero portare dritti verso un
punto di non ritorno. E allora, il sole potrebbe non sorgere più.
Cleopatra, lunedì 14/11/2016
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