Riceviamo dalla nostra freelance
Cleopatra e integralmente pubblichiamo
Pare che l'onestà intellettuale e la
genuinità di un individuo, sia che si tratti di un uomo politico o meno, debba
necessariamente essere misurata attraverso l'uso della violenza verbale. Si
chiamino Vincenzo De Luca o Donald Trump, poco importa: più si aggredisce
l'avversario, tanto più si è considerati diretti e credibili. Il ricorso al
dileggio e all'offesa personale non è più un fenomeno ma l'espressione di una
strategia comunicativa sempre più ricorrente e sistematica. E così le parole
dell'ex sindaco - sceriffo di Salerno, altro non sono se non la conferma -
l'ennesima - di quanto poco conti il pensiero dell'avversario.
Offendere il competitor sul piano
personale è l'arma più deflagrante ed efficace per stabilire il proprio
carattere distintivo di autenticità.
E' pur vero che nella "galleria
degli orrori" a cui stiamo assistendo da un ventennio a questa parte, De
Luca non è il solo a distinguersi per inciviltà verbale. Già il Senatùr Umberto
Bossi, per chi l'avesse dimenticato, fece della visceralità lessicale il tratto
caratteristico del partito di appartenenza. La metafora fallica assurse a
simbolo di tenacia, potenza e veracità.
Il linguaggio divenne per Bossi un
grimaldello per scardinare il politichese, reo di ambiguità e ipocrisia.
Missione compiuta, visti i risultati. E che dire della rivoluzione "bon
ton" di Silvietto, che sdoganò barzellette triviali e corna, come quelle
orgogliosamente esibite durante un consesso con i potenti della terra? E i
Vaffa Day di Beppe Grillo che hanno certificato definitivamente l'uso del
turpiloquio in politica?
Certo, i tempi cambiano, ma è anche vero
che il cattivo gusto e il bullismo verbale sono ormai globalizzati. Da destra a
sinistra, ammesso che una sinistra esista ancora.
Forse sarò all'antica, ma la buona
educazione e il rispetto mi mancano. E non solo in politica.
Cleopatra, lunedì 21/11/2016
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