“Emma c’est moi!”. E’ questa la frase che Gustave Flaubert pronunciò
davanti ai giudici che lo interrogavano a proposito della protagonista di Madame
Bovary, il romanzo per cui, nel 1857, fu processato per oltraggio alla pubblica
morale. Una frase che, all’epoca dei fatti, suscitò parecchio scandalo, da
momento che presupponeva un’inaccettabile immedesimazione fra lo scandaloso
personaggio flaubertiano e lo scrittore normanno che lo aveva creato. Chi ha
letto il romanzo sa che, in realtà, le cose sono molto più complesse. Il
rapporto fra Emma e il suo creatore è a dir poco ambivalente. Flaubert,
infatti, non fa nulla per nascondere il proprio disprezzo per la signora
Bovary. Si guarda bene dall’esprimere un giudizio diretto, certo, eppure
tratteggia il personaggio in modo tale che al lettore risulti palese di trovarsi
di fronte a una donna moralmente indifendibile. Non è tanto l’adulterio che Flaubert
condanna, quanto semmai la totale mancanza di empatia nei riguardi del marito
Charles e delle figlia Berthe: Emma è una pessima moglie ed è una moglie
sprezzante; Emma è anche, e soprattutto, una madre indifferente all’amore della
piccola figlia, una madre che non si fa scrupoli ad allontanare da sé anche
fisicamente la propria bambina. Eppure, Flaubert possiede molte cose in comune con
la sua creatura, come, ad esempio, la propensione per la vita mondana e il
lusso, l’incuranza verso il dissesto economico che spesso rischia di affrontare
nel corso della propria esistenza, il dispregio, anche violento, nei confronti
della provincia e della borghesia del tempo. Soprattutto, Flaubert costruisce Emma
prendendo spunto dalla sua relazione con Louise Colet, discreta poetessa, frequentatrice
di salotti, donna sposata e adultera, madre irresponsabile. La Colet, insomma,
non fu solo parte integrante della vita del romanziere per tutti gli otto anni
della loro burrascosa relazione, ma fu anche il modello su cui Flaubert
ritagliò il personaggio di madame Bovary (le malelingue sostengono che Gustave,
da tempo stufo della relazione con Louise, tenne vivo il rapporto con la donna solo
per poter terminare il romanzo). Chi è, dunque, Emma Bovary? Emma è una donna
ambigua, inquieta, complessa, contraddittoria e talmente sfaccettata nella sua
psicologia, da rapire il lettore a numerose riflessioni ben oltre le pagine del
romanzo. Come ogni ragazza borghese del tempo viene imprigionata nella gabbia di
un matrimonio combinato, in cui l’amore è assolutamente marginale, e si trova a
vivere la condizione gretta e meschina di una provincia francese che non
concede né svago né prospettive. Il sogno d’amore, quel sogno nato dalla
lettura dei romanzetti d’appendice che ai tempi andavano per la maggiore, si
infrange contro la dura realtà di un matrimonio infelice e contro il tedio di una
vita sciapa, monocorde, ogni giorno uguale sé stessa. Come evadere, dunque,
dalla noia feroce che le sta rubando la giovinezza? Ecco, allora, la pietra
dello scandalo: Emma tradisce il marito, prima platonicamente e poi
carnalmente, e l’adulterio viene proposto da Flaubert come un’unica via di fuga
e di salvezza, generando scalpore nella società moralista dell’epoca. Sia
chiaro, però: non è il sesso o la lascivia a spingere Emma al tradimento, bensì
la necessità di trasformarsi in protagonista della propria vita, esattamente
come lo sono i personaggi dei romanzetti d’appendice che Emma legge di continuo.
Emma non è solo un’adultera, e sarebbe limitante anche il solo pensarlo, è
semmai la donna che vuole, fortemente, essere l’attrice protagonista di un’esistenza
teatralizzata all’eccesso, sia nei sentimenti, che nel desiderio di lusso, e financo
nel momento della morte. Emma si ama o si odia, o meglio si ama e si odia al
contempo: sensuale, intelligente, capace di slanci amorosi totalizzanti e di
altrettanti totalizzanti afflati di generosità; e per converso, stolta fino al
limite della follia nello sperperare la fortuna di famiglia, infida e
calcolatrice nel pianificare il tradimento, rancorosa nei confronti del docile
e stolto marito, madre inaffidabile e priva di quegli scrupoli affettuosi che
dovrebbero animare il rapporto con la sua piccola figlia. Flaubert racconta
Emma senza filtri, condannandola, certo, anche se, in fin dei conti, è attratto
dalla sua stessa creazione, nei confronti della quale prova una sincera empatia.
Perché Emma è la donna che sogna a occhi aperti, che cerca di evadere dalla reclusione
delle convenzioni, che disprezza la stolta borghesia che la circonda, che cerca
di uscire da un ruolo di comprimaria che altri hanno ritagliato per lei. Il
grande scrittore americano Henry James sostenne che Flaubert per punire Madame
Bovary dei suoi peccati inscenò la sua morte come un lunghissimo calvario, in
cui non ci vengono risparmiate né deiezioni fisiologiche, né dolore fisico, né linciaggio
morale. A ben vedere, invece, Flaubert fa morire Emma così come è vissuta, teatralizzando
al massimo l’exitus e rendendola protagonista assoluta anche nel momento del
trapasso. Ed è proprio nella lunga agonia del suo personaggio che Flaubert
vuole suscitare nel lettore quel compassionevole moto di pietà nei confronti
della donna che era mancato per tutta la durata del romanzo, sottolineando l’indifferenza
stolida di chi la circonda (quella borghesia provinciale e gretta di uomini
condannati a una vanità grottesca) ed esaltando, invece, il dolore di Charles,
quel marito innamorato e bistrattato, il cui amore gratuito salva, però, Emma
dal disdoro del giudizio altrui. Madame Bovary, nella sua multiforme
complessità, è davvero un personaggio femminile che ha pochi eguali nella
storia della letteratura, tanto che la sua profonda ambivalenza finisce per
stagliarla all’orizzonte come il profilo di un quercia sul campo di grano del
romanzo francese ottocentesco e della società del tempo. Non è solo l’intrinseca
grandezza dell’opera: dalle suggestioni create dal romanzo, infatti, nascerà
addirittura una corrente di pensiero chiamata bovarismo, in cui la propensione
al sogno ad occhi aperti e la lettura sono l’unico modo per svincolarsi da un’esistenza
gretta, dalle monotone consuetudini della provincia e dalle stolte affettazioni
della borghesia. Quella borghesia che Flaubert odiava ferocemente e che
massacra senza mezzi termini nelle pagine del romanzo, descrivendo una schiera
di personaggi indelebili nella loro mortificante vacuità: Charles, il marito di
Emma, buono ma ottuso e inetto; il farmacista Homais, vanaglorioso e affetto da
grandeur, ma al contempo ignorante, limitato e cieco rispetto alla propria
totale inadeguatezza; gli inconsistenti amanti di Emma, Rodolphe e Leon (quest’ultimo,
fulminato per l’eternità con la frase: “il
più mediocre libertino ha sognato sultane; ogni notaio si porta dentro le
macerie di un poeta”) e Monsieur Lheureux, lo strozzino
spregiudicato e manipolatore. Un’umanità talmente ignobile e insulsa che
immedesimarsi in Madame Bovary è quasi un dovere morale. “Emma c’est moi!”
Blackswan, mercoledì 01/03/2017
3 commenti:
Magnifica recensione Black, hai colto nel segno.
Ma dato che siamo sul registro della cultura alta, oggi mi sarei aspettato un sia pur breve epitaffio per la scomparsa di Leone di Lernia.
Un maestro nei cui confronti tutti noi abbiamo un debito senz'altro più diretto di quello che potremmo avere verso Flaubert o Proust o altre mezze figure del genere.
Ma si sa, nemo propheta in patria.
@ Ezzelino: grazie mille:)
Purtroppo, pur avendolo sentito nominare, non so chi sia Leone Di Lernia e quindi non posso unirmi al cordoglio :)
E' (era) un cazzone totale, interprete di un trash sudista sgangherato a volte piuttosto divertente.
Niente di che, intendiamoci, ma di tanto in tanto una risata "di pancia" te la strappava.
Tornando ad Emma, se ne vuoi vedere numerose epigoni ti suggerisco un giro in Tribunale qui a Milano.
Un abbraccio.
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