Se è vero che a diciotto
anni, la maggior parte dei giovani, ancora non sa cosa fare della propria vita,
ci sono però eccezioni che confermano la regola. Una è quella rappresentata da
Aaron Keylock, chitarrista originario di Oxford, che le idee le ha chiarissime
fin dall’infanzia. Tanto che, già all’età di dodici anni, teneva
applauditissimi concerti su e giù per il Regno Unito. Un talento tanto precoce
quanto strabiliante che lo ha portato, appena maggiorenne, a rilasciare il suo
disco d’esordio e a essere inserito nella lista dei migliori chitarristi rock
blues in circolazione, quella che comprende, tanto per capirci, campioni come
Joe Bonamassa e Kenny Wayne Shepherd. Prodotto dal nostro Fabrizio Grossi (già
collaboratore di Alice Cooper, Joe Bonamassa, Billy Gibbons, Steve Vai, etc.),
Cut Against The Grain è una raccolta di canzoni ad alto contenuto energetico,
che paga debito agli anni ’70 (il titolo, forse, ammicca ad Against The
Grain, gioiello datato 1975 a firma Rory Gallagher) e a quel suono che
oggigiorno siamo soliti definire classic rock. L’apertura di All The Right
Moves, un hard rock blues impetuoso che cita proprio il grande chitarrista
irlandese, mette subito le carte in tavola: musica diretta e senza fronzoli,
piede schiacciato sull’acceleratore e un assolo al fulmicotone, per farci
capire di che pasta è fatto il ragazzo. Il quale, nella successiva Down, va meravigliosamente
di slide, tirando fuori un rock blues che gira dalle parti del North
Mississippi (e dei North Mississippi Allstars). Se la voce di Keylock resta un po'
anonima (ci vuole molto più vissuto alle spalle per arricchirla di sfumature) e
qualche brano non risulta all’altezza degli altri (That’s Not Me, ad esempio),
il ragazzo in compenso dimostra di avere una tecnica sopraffina (ma mai
sacrificata al virtuosismo fine a sé stesso) e di conoscere a menadito le sue
fonti di ispirazione. Just One Question è una turgida ballata elettrica
ispirata a Gary Moore, la title track, con il suo riff alla Gallagher, macina
con la slide tonnellate di tossine elettriche, Try e Spin The Bottle sono venate
di glam quel tanto che basta da riportarci alla mente Marc Bolan e i suoi T
Rex. Un esordio solido, già ben strutturato a livello di scrittura, e un
chitarrista che fa le cose che servono e le fa con estrema consapevolezza:
niente fronzoli, niente fuochi d’artificio, niente sbrodolamenti di note, ma un
tocco dinamico, sanguigno e icastico, e un’intensità pazzesca soprattutto
quando Aaron sfodera un gagliardo repertorio slide. Buon disco per tutti gli
appassionati della sei corde e del rock più verace.
VOTO: 6,5
Blackswan, mercoledì 09/08/2017
Nessun commento:
Posta un commento