Pierre de
Coubertin si sarà rivoltato nella tomba, e non tanto perchè l'italia non abbia
vinto contro i marcantoni nordici, quanto piuttosto per non avere partecipato.
La nostra Nazionale non c'è più: siamo esclusi pure dai Mondiali di calcio. Non
accadeva da 60 anni e qualcuno potrebbe obiettare che sono cose della vita. Del
resto, c'è sempre una prima volta, ma è una prima volta che fa male per noi,
non più teen-ager, cresciuti nel ricordo di quel grido a squarciagola di Nando
Martellini: "Campioni del mondo, campioni del mondo" in un Santiago
Bernabeu luccicante come le nostre lacrime di gioia. Era la magica estate del
1982 e sembra passato un secolo. Di quella Italia sana, umile e fiera ci
restano solo dei ricordi sfocati. Non ci sono più i Bearzot (il mitico
"Vecio"), i Rossi, i Cabrini, i Tardelli, i Gentile, i Causio, gli
Zoff e tutti gli altri idoli di uno sport che era, e rimane ancora, il più
bello del mondo. Oggi, pare di ritrovarsi a leggere i titoli di coda di un
melodramma. La Nazionale non è che una rappresentazione sbiadita di un'Italia
svogliata e disamorata della propria maglia. Ma c'è di più ed è legato non solo
al modo di interpretare lo sport ma di quanto siano in crisi i valori della
società stessa. Lo sport dovrebbe essere una fucina di emozioni da vivere sia
come dimensione personale che collettiva e invece assistiamo sempre più spesso
all'imbecillità di chi osa fischiare l'inno degli avversari o di chi scivola in
odiosi razzismi. Oggi, ci ritroviamo con un calcio dominato dalle cordate
finanziarie, perlopiù straniere, e da politiche low cost in cui la
realizzazione del profitto e della plusvalenza prevalgono sui vivai e sui
giovani talenti. Che il futuro presidente si chiami ancora Tavecchio, conta
fino a un certo punto. Potrà arrivare chiunque, ma se il gattopardismo la farà
ancora da padrone, non ci resta che vivere di ricordi.
Cleopatra, lunedì
20/11/2017
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