Settantadue
primavere gli imbiancano la criniera, ma Bob Seger è un leone che
continua a ruggire a dispetto dell’età. E non è un caso che voglia
ricordarlo a tutti con quella foto sulla copertina di I Know You When,
diciottesimo album in carriera, che lo ritrae nella gagliarda
sfrontatezza dei suoi vent’anni. Il tempo non ha lasciato strascichi e
il rocker di Detroit non ha perso un grammo di quella vitalità che
incendiava dischi rocciosi come Back in ’72 e Beautiful Loser.
Quel rock aggressivo e lineare, quell’impasto blue collar di country,
blues e rock, di suoni sporchi e melodie radiofoniche, di grinta
operaia, di sudore e di birra, continuano a echeggiare in tutte le
tracce di I Knew You When. Un disco prevedibile, come lo possono essere
solo i dischi di Bob Seger, e un rock diretto, sanguigno, di grana
grossa quanto si vuole, ma ancora capace di eccitare gli animi di chi è
cresciuto con una copia di Live Bullet sotto il cuscino.
Seger ci tiene a dimostrare subito che nulla è cambiato e, quando partono le prime note di Gracile,
una zampata rock blues da k.o., Bob mostra muscoli ancora vigorosi e
mette in fila tante presunte giovani promesse che difficilmente
riusciranno a tirar fuori dal cilindro un suono così sporco e
aggressivo. Che Seger, nonostante una recente operazione alla schiena,
abbai ritrovato l’antica forma, lo si capisce anche dalla straordinaria
cover che fa di Busload Of Faith, brano preso in prestito da
Lou Reed (l’originale la trovate su New York del 1989), qui
reinterpretata anche nel testo, ritoccato con espliciti riferimenti a
Donald Trump.
E che dire di The Highway, rock che fila via dritto come un fuso, sostenuto da quegli arrangiamenti di tastiera tanto risaputi quanto efficaci, o della title track,
archetipo di quei ballatoni virili e senza fronzoli che possono uscire
solo dalla penna di Seger o di Springsteen (d’altra parte, la famiglia
di provenienza è la stessa)?
Canzoni essenziali, quasi primitive nella loro struttura elementare,
eppure ancora irrorate dal sacro sangue del rock’n’roll, da quel senso
ruspante per la musica che ci fa venir voglia di guidare una
decapottabile, il volume dello stereo al massimo e il piede premuto
sull’acceleratore, mirando dritto verso l’orizzonte. Così, perdoniamo
volentieri a Seger anche qualche brano non particolarmente ispirato,
come la cover di Democracy di Leonard Cohen o la zeppeliniana The Sea Inside, “liberamente” ispirata a Kashmir, entrambe troppo distanti dal mood dell’album e dalle corde del rocker di Detroit.
Quando, però, parte la conclusiva Glenn Song, commossa ballata per ricordare l’amico Glenn Frey, una lacrima
inevitabilmente ci riga la guancia, e siamo felici che Bob lotti ancora
insieme a noi. Basilare e verace come sempre: ben ritrovata Detroit, ben
ritrovato rock’n’roll.
VOTO: 7
Blackswan, giovedì 07/12/2017
6 commenti:
Non mi hai nemmeno citato Mongrel, che secondo me è uno dei suoi migliori
https://www.youtube.com/watch?v=qcuE5a9l5Yc
InI
*MaryA***
@ MaryA: ho citato i primi che mi sono venuti in mente. Anche Mongrel è un'ottimo album, ovviamente.
@BlackSwan
Scusami, non voleva essere un rimprovero XD
Comunque, secondo me in molti, uno a caso Rory Gallagher, hanno attinto a piene mani da Bob Seger, Seger ha lasciato un imprinting che ha lanciato le basi per l'Hard Rock degli anni '80 già dai primi '70
@ MaryA: non l'ho certo preso come un rimprovero, figurati. Immenso Rory Gallagher.:)
^^*
MaryA***
il disco contiene una meravigliosa Glenn song....
ma il killer che non azzecca mai le proposte, ha scelto busload of faith
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