Bravi,
anzi bravissimi, ma commercialmente insussistenti. Si potrebbe
descrivere così, senza troppi fronzoli, la parabola di una delle band
più interessanti degli anni ’60, destinata però a essere, anche nel
tempo, oggetto di culto per pochi aficionados. Formatisi a inizio
sixties, con quel nome preso in prestito da una canzone di Bo Diddley, i
Pretty Things si affacciano allo star system in piena british invasion,
senza tuttavia godere di quei ritorni mediatici ed economici di tante
band coeve.
Capitanati
da Phil May e dalla sua ugola abrasiva, e da Dick Taylor, chitarrista
dal suono sporco e acidissimo, la band londinese pubblica nel 1965
l’omonimo esordio, disco di grezzo R&B bianco alla Rolling Stones.
Ed è proprio con questa band che si sprecano paragoni artistici, anche
se l’approccio di May e Taylor è molto più primordiale e incandescente
rispetto aquello del gruppo capitanato da Mick Jagger.
Forte di alcune travolgenti reinterpretazioni di classici (Big City, Honey I Need),
l’album sale fino alla sesto posto delle charts britanniche, regalando
ai Pretty Things l’unica soddisfazione commerciale della loro carriera.
La band però si è creata una brutta fama, quella di gruppo sporco e
cattivo e di pericolosi attaccabrighe, nomea, questa, che li terrà
lontani dai palchi americani e dai circuiti che contano davvero. Get The
Picture?, uscito lo stesso anno, ricalca lo stile del predecessore con
ancora maggior immediatezza: acidi, feroci, lontani da ogni compromesso
pop, May e Taylor tratteggiano uno straordinario affresco rock blues che
ha come numi tutelari il citato Bo Diddley, Howlin Wolf e Chuck Berry.
La
svolta artistica, però, è alla porta. Quando esce Emotions (1967) la
band sposta il proprio suono verso territori decisamente meno
incandescenti, plasmando un folk rock arrangiato con l’aiuto di fiati e
di archi e accentuando la vena psichedelica, tanto in voga in quegli
anni. Altro fiasco di vendite, ma Emotions resta fondamentale, perché
prepara il terreno per quel S.F. Sorrow, che vedrà la luce nel 1968,
consegnando la band alla storia. Un disco che non regalerà ai Pretty
Things il successo sperato, ma che entra di diritto nella leggenda,
perché è il primo concept album della storia, anticipando di un anno
Tommy degli Who.
Messa
da parte l’istintività degli esordi, S.F. Sorrow sviluppa un coagulo di
idee sperimentali, in cui convivono massicce dosi lisergiche, estetica
naif, beat e proto progressive. E qui, l’avventura della band
praticamente si chiude: Taylor molla e si dedica al lavoro di
produttore, gli altri continuano col marchio di fabbrica pubblicando
Parachute (1970), disco che vira decisamente verso un pop melodico
brillante ma poco significativo. La band si scioglierà nel 1976, per
tornare poi periodicamente insieme per concerti e pubblicazioni di
dischi, tutti così così.
La
Madfish ha pubblicato quest’anno un prezioso greatest hits, che
raccoglie in venticinque canzoni il meglio della carriera della band,
dagli esordi fino alla recentissima cover di Mr. Tambourine Man di Bob
Dylan. Il cofanetto contiene, oltre a un ricco booklet, un secondo cd,
che fotografa la band dal vivo in un infuocata performance tenutasi al
mitico The 100 club di Londra nel 2010. Un’occasione irripetibile per
scoprire (o riscoprire) una delle epopee rock più avvincenti e
sfortunate della storia.
VOTO: 8
Blackswan, venerdì 15/12/2017
2 commenti:
Cacchio, i Pretty Things !!!!!! Me li ero completamente scordati.
Come quando spedisci gli inviti di Natale e ti scordi di invitare qualcuno.
Grazie di avermeli ricordati.
Un abbraccio.
@ Granduca: grande e sfortunatissimo gruppo. Per un paio d'anni hanno dato la palta agli Stones.
Un abbraccio :)
Nick
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