A voler utilizzare
alcune espressioni tanto care alla stampa anglosassone, si potrebbe parlare a
proposito degli irlandesi Fontaines D.C. di best
new thing o di new sensation.
D’altra parte, l’hype nei confronti della band di Dublino è stato costruito ad
arte in questi mesi, grazie a una narrazione orchestrata ad hoc e alla
pubblicazione di singoli (praticamente tutto il disco d’esordio) che hanno
creato una crescente attesa nei confronti di questa pubblicazione.
Tuttavia, il clamore
generato da questa opera prima non risiede solo nell’ottima comunicazione che
ha permesso di conoscere la band con ampio anticipo, ma soprattutto dal valore
artistico di un disco, per certi versi sorprendente. Che la musica dei
Fontaines D.C. sia clamorosamente derivativa è un dato di fatto su cui nemmeno
si dovrebbe discutere: queste canzoni, infatti, hanno i piedi immersi fino alle
caviglie nella fanghiglia post punk di inizio anni ’80, raccontano Dublino e
l’Irlanda nello stesso modo in cui facevano alcune band di combat rock del
periodo, e hanno come numi tutelari, citati spesso smaccatamente, alcuni gruppi
hanno fatto la storia del genere, Joy Division su tutti.
Ciò nonostante, sarebbe
ingiusto parlare di mera operazione di copia-incolla, perché questi ragazzi
sono riusciti, in pochissimo tempo a forgiare un suono tutto loro. C’è un
piglio garagista che identifica le loro performance, una veemenza tutta sangue
e sudore che da sempre identifica quelle rock’n’roll band che fanno
dell’immediatezza il loro punto di forza. E ci sta, quindi, che la tecnica e
l’attenzione agli arrangiamenti passino in secondo piano, cosa abbastanza
evidente all’ascolto di questo Dogrel. C’è, poi, il timbro vocale di Grian
Chatten, un crooner, monocorde e monotono, che ricorda un incrocio ansiogeno
fra Ian Curtis e Kele Okereke dei Bloc Party, a marchiare a fuoco queste
canzoni di grintosissimo post punk.
Tutto funziona a meraviglia
in Dogrel, a partire della splendida Big (godetevi il video, ne vale la pena)
brano che apre il disco con una dichiarazione d’amore nei confronti di Dublino.
Non ci sono momenti di stanca, e ogni singola canzone in scaletta regge alla
grande il confronto con band che di recente hanno imboccato la stessa strada
dei Fontaines D.C. (Shame e Idles, soprattutto): i tamburi battenti di Sha Sha Sha, che ruba un giro di
chitarra ai Clash (London Calling),
lo sconquasso noise di Too Real, la
melodia scartavetrata di Roy’s Tune,
gli echi Joy Division di The Lotts o
la conclusiva Dublin City Sky, che
evoca l’anima sfilacciata e alcolica di Shane MacGowan dei Pogues, sono tutti
episodi che rendono Dogrel un esordio
appassionato ed emozionante.
Non so dire se i
Fontaines D.C. siano destinati a durare nel tempo: l’andamento monocorde del
cantato e una certa ortodossia stilistica alla lunga potrebbero anche imboccare
il tunnel della ripetitività e finire per stancare. Tuttavia, c’è da
scommetterci, almeno per quanto riguarda il 2019, che il loro esordio comparirà
in vetta a tutte le classifiche di fine anno.
VOTO: 7,5
Blackswan, venerdì 19/04/2019
1 commento:
a me Big ha ricordardato tanto i P.I.L......
niente di nuovo sotto il sole, ma pura energia che fa bene....
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