Ci
sono predestinati ed è fuori di dubbio che Molly Tuttle sia uno di
questi. Raramente, infatti, un’artista ha vinto premi importanti senza
pubblicare un solo full lenght. Parlano i fatti. La Tuttle si è portata a
casa due onorificenze di peso: quella della alla Folk Alliance
International per la canzone dell’anno (You Didn’t Call My Name) e quella dell'International Bluegrass Music Association come chitarrista dell'anno, entrambe grazie al suo Ep Rise datato 2017.
Le
sette canzoni contenute in quell’Ep, se da un lato, collocavano
saldamente la Tuttle nell’ambito folk/bluegrass, dall’altro,
evidenziavano la tendenza a esplorare contaminazioni al genere,
evidenziando premesse (e promesse) poi mantenute in questo
impressionante album di debutto. Le conferme arrivano in primo luogo
dalle strabilianti capacità tecniche nel suonare la chitarra, già
evidenziate clamorosamente in Super Moon, uno dei brani più riusciti del precedente Ep.
Si
sente tutta l’eredità dei grandi, in Molly, da John Fahye a Leo Kottke,
con cui la Tuttle condivide il suono vigoroso, quasi percussivo, e un
fingerpicking di precisione cristallina (ascoltate qui la clamorosa Take The Journey).
Poi, c’è la voce, che in due anni è migliorata tantissimo e che ha
acquisito nuove sfumature, espressività, e un timbro che ricorda
vagamente quello di Suzanne Vega.
Una
duttilità che la Tuttle usa per trasmettere la frustrazione e la
tristezza a causa di una relazione spezzata di cui si assume la
responsabilità nell’opener Million Miles Away o la rabbia dell’amara Messed With My Mind (in cui canta: Caught you lighting up a fire in my kitchen / And now you’re acting like you never did me no harm), o i cupi presagi di Take The Journey (You can control the weather/ But the rain inside you is still gonna fall).
Forse
i fan della prima ora potranno storcere il naso, per la presenza di una
backing band e arrangiamenti più robusti, e ritenere, in parte a
ragione, che l’autenticità roots della Tuttle si sia diluita in ragione
di un crossover dall’appeal più commerciale. Tuttavia, nonostante
qualche incursione in sonorità maggiormente rock (Light Came In) e in melodie di facile presa (la citata Million Miles Away),
il retroterra folk country rimane ben identificabile e l’uso di
batteria, chitarra elettrica e sintetizzatori danno maggior sostanza e
una più forte identità alle composizioni.
Insomma,
la Tuttle ha fatto bene ad aspettare prima di rilasciare il suo primo
full lenght, perché è riuscita ad affinare il talento e le idee che già
affioravano nel precedente Ep. Doveva essere pronta, come recita il
titolo dell’album, ed effettivamente When You’re Ready è un
esordio solidissimo che fa presagire una luminosa carriera. Qui c’è
tutto quello che piace in un disco di roots: suono, melodia, tradizione
e, questo è il valore aggiunto, una tecnica chitarristica, che farà
innamorare gli appassionati dello strumento.
VOTO: 7,5
Blackswan, venerdì 12/04/2019
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