Ci
sono gruppi (gli antesignani furono gli Arctic Monkeys, non so se
ricordate) che non hanno bisogno nemmeno di registrare un disco, per
sfondare: basta un hype creato ad hoc e un paio di video ben fatti e con
tanti click, e il risultato sperato è raggiunto. Questa è più o meno la
gavetta degli Amazons, che si sono formati a Reading, Berkshire, nel
2014, e che in tre anni si sono fatti notare solo a colpi di singoli,
tanto che sia la BBC che MTV, due colossi in Inghilterra, li hanno
pompati così tanto che nel 2017 si parlava di loro come la new sensation
o la next big thing.
Dell’omonimo album d’esordio (The Amazons,
2017), si sapeva già tutto prima della sua uscita, perché in realtà
altro non era che una raccolta dei singoli già pubblicati nel corso
della breve carriera della band. Messo nel lettore, il cd suonava,
quindi, come una sorta di best of di canzoni che avevamo già orecchiato
in precedenza e che avevano contribuito a gonfiare il fenomeno. La
produzione di Catherine Marks (già alle prese con Killers, Foals e Local
Natives) era riuscita a dare un po' di omogeneità all’assemblaggio del
materiale, ma il disco, però, si perdeva nella terra di mezzo popolata
da quella musica che, per quanto carica di hype, finisce per essere
sostanzialmente inutile. The Amazons, infatti, aveva in
scaletta un pugno di brani power pop, gonfi di riff rumorosi ma innocui e
di tastieroni un po' retrò, che saturavano il suono. Nulla di
particolarmente brillante, tasso di originalità zero e melodie bubblegum
e senza pathos da consumare velocemente.
Future Dust propone una formula più o meno simile, ma fortunatamente alcune cose sono cambiate, e in meglio. Se il mood dell’esordio era “vediamo un po' l’effetto che fa“,
questo nuovo disco suona indubbiamente più omogeneo, si percepisce una
visione di insieme che prima mancava e i brani, decisamente meglio
arrangiati, dimostrano un lavoro più efficace sotto il profilo della
scrittura.
Il
leit motiv del disco resta il medesimo, e cioè far convivere energici
riff di chitarra con melodie di facile presa e buone per passaggi
radiofonici. Un suono orientato verso gli anni ’90, in bilico fra
suggestioni americane e sentori pop britannici, che non riesce mai a
superare lo steccato del deja vu, ma che almeno produce qualche canzone
di buon impatto.
Mother, il singolo che apre il disco, si sviluppa su un riff quasi stoner, Doubt It ammicca ai Black Keys ma risulta vincente grazie all’uso dei cori e a un refrain irresistibile, Warning Signs è un saliscendi emotivo che attenua la sfrontatezza della band con atmosfere leggermente più cupe. E la conclusiva Georgia, se non citasse smaccatamente Hotel California degli Eagles, sarebbe davvero una grande canzone, di quelle che durano ben oltre il tempo di qualche ascolto.
Future Dust,
non è affatto un brutto disco, ma agli Amazons manca sempre quel quid
di sporcizia in più per poter fare il grande salto di qualità. Rispetto
all’esordio, però, è stato fatto un deciso passo avanti, e queste
canzoni da stadio, pompate e melodiche, pur nella loro prevedibilità,
hanno almeno dismesso i panni di un (pop) rock dal sapore
postadolescenziale. Per la maturità, se mai arriverà, c’è ancora strada
da fare, ma Future Dust rappresenta comunque uno scarto di qualità rispetto al passato e un abbrivio importante per il futuro.
VOTO: 6,5
Blackswan, mecoledì 05/06/2019
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