Come
suicidarsi artisticamente, istruzioni per l’uso. In queste poche parole
si può riassumere il giudizio sulla nuova fatica di Zac Brown. In
circolazione ormai da undici anni, l’irsuto country rocker originario
della Georgia, pur non avendo mai fatto dischi epocali, si è guadagnato
negli anni un seguito nutrito di fan, facendo peraltro incetta di premi,
tra cui tre Grammy Awards. E forse è proprio il successo su scala
nazionale, che ha spinto Brown a cercare il colpo grosso, spostando le
sonorità roots verso una dimensione più mainstream e radiofonica. Una
scelta professionale che ha fatto non poco arrabbiare i fan della prima
ora, che non hanno lesinato critiche, a volte davvero pesanti.
E’ da Jekyll + Hyde (2015), però, che il rocker di Atlanta ne azzecca davvero poche (va bene, Welcome Home
del 2017 non era completamente da buttare) e che la critica e gli
aficionados non gli risparmiano nulla, tanto che Brown, durante la
serata di gala degli CMA Awards, è sbottato con un “fuck the haters!” che non ammette repliche.
In
questo caso, però, non si tratta di odio, ma semplicemente di dare un
giudizio a un’opera musicale. Brown faceva del buon country rock e il
cambio di rotta, chiaramente, sconcerta. Per carità, si possono
intraprendere diversi percorsi artistici, abbandonando la casa madre, e
fare comunque le cose per bene. Il problema è che questo nuovo The Owl
è un pasticcio senza capo né coda, un abbraccio esiziale con sonorità
moderne e molto mainstream, che Brown non sa gestire, soprattutto a
livello di scrittura.
Basta ascoltare una volta il singolo Someone I Used To Know
dalle sonorità vagamente EDM, per aver voglia di prendere il cd e
lanciarlo dalla finestra. Il singolo, però, è la quarta traccia in
scaletta e ci si arriva faticosamente, dopo aver ascoltato nefandezze
come l’iniziale The Woods e suoi fastidiosi beats elettronici o l’atroce Need This, in cui l’uomo si cimenta pure in un cantato rap.
Alla terza traccia, OMW,
pensi addirittura di aver inserito nel lettore un disco di Justin
Bieber e lo sgomento è talmente invasivo da costringerti a pescare dalla
discografia metal uno a caso dei dischi degli Slayer, per ripulire le
orecchie da tanto indigeribile pattume.
Cosa ci faccia, poi, Brandi Carlile, ospite in una brano debole e prevedibile (il migliore del disco, peraltro) come Finish What We Started, è un mistero che mi ha tenuto sveglio un’intera notte (o forse era solo il panino alla salamella, non ricordo).
Se
quanto raccontato fin ora non vi ha sufficientemente terrorizzato, vi
suggerisco ad abundantiam la traccia numero otto, intitolata Warrior, omaggio pompato, retorico e militarista ai soldati dell’esercito americano.
Detto
questo, vi assicuro che poche volte ho fatto tanta fatica ad ascoltare
un disco e ancor più a recensirlo, e mi consolo, con una punta di astio
vendicativo, onorando The Owl con la palma di peggior disco del 2019. Amen.
VOTO: 4
Blackswan, giovedì 17/10/2019
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