Fondati
a New York nel 1997 da Daniel Kessler (chitarra) e Greg Drudy
(batteria), gli Interpol si affacciano fattivamente sulla scena musicale
statunitense solo dopo l'ingresso nella formazione di Sam Fogarino
(subentrato alla batteria al posto dello stesso Drudy), di Carlos
Dengler (basso e tastiere) e del cantante Paul Banks. Sono anni di tour
sfibranti in cui Banks e soci presentano un repertorio composto
essenzialmente da cover e da alcuni brani originali dalle sonorità
eighties, che rappresenteranno il marchio di fabbrica della band. Non
siamo di fronte però a uno dei tanti gruppi che si limitano al copia e
incolla: gli Interpol partono dalla lezione dei Joy Division, dei Cure,
dei The Sound di Adrian Borland e dei Chameleons, ma modernizzano quel
suono, creando atmosfere di maestoso lirismo gotico e derive
malinconiche al neon.
Centrale
nelle canzoni Interpol è l’intreccio intricato fra le due chitarre, che
danno vita a un suono stratificato, pieno, supportato da beat
ansiogeni, dalla voce baritonale e distante di Banks e da epici declivi
crepuscolari tracciati dalle linee di algidi synth. Quando l'etichetta
Matador mette la band sotto contratto, gli Interpol si chiudono in
studio per quasi due anni. Il risultato di questa maratona in sala di
registrazione si intitola Turn On The Bright Lights (2002),
manifesto del post-punk revival, che fa gridare al miracolo la stampa
specializzata (per Pitchfork è il miglior disco del 2002) e proietta gli
Interpol verso l'Olimpo degli dei del rock. Tra ritmiche pulsanti e
riff serrati (Stella Was A Driver And She Was Always Down), nevrosi del nuovo millennio (Obstacle 1) e romanticismo notturno e denso (NYC), Turn On The Bright Lights
propone una scaletta di cinquanta minuti che non si concede un momento
di stanca e che affonda in atmosfere umbratili, febbricitanti, a tratti
vaporose e psichedeliche, risultando a tutt'oggi non solo il miglior
lavoro della band newyorkese, ma anche uno dei dischi più emozionanti
della nuova avanguardia del wave-sound.
Antics
(2004) è il seguito ideale del fulminante esordio della band. Un lavoro
che ha diviso critica e pubblico, tra chi, nelle dieci canzoni in
scaletta, ritrova una band al massimo dell’ispirazione e chi invece vede
in questo sophomore la reiterazione stanca di quanto proposto nel primo
disco. Di sicuro, Antics si presenta più convenzionale per
alcune soluzioni marcatamente rock e per i testi più comprensibili e
meno elusivi. E' il tentativo, peraltro riuscito, di accedere al grande
pubblico, con una produzione che risulta più curata e canzoni che
sostituiscono l'aura di mistero con una linearità a tratti addirittura
rassicurante.
Non mancano tuttavia, gioiellini da conservare fra i migliori ricordi della band: la zampata rock di Slow Hands, i languori depressi di Public Pervert e le pulsioni pop di Not Even Jail.
Il disco, invece, che mette tutti d’accordo, ma in senso negativo, è Our Love To Admire,
terzo lavoro della band, considerato (quasi) unanimemente dalla critica
di quegli anni un album mediocre e di gran lunga inferiore ai suoi
predecessori. Un giudizio che ha senso se contestualizzato all’interno
della breve discografia di allora e se rapportato ai due dischi che
l’hanno preceduto, ma che suona estremamente punitivo in senso assoluto:
riascoltato oggi con la prospettiva di quasi un ventennio di carriera, Our Love To Admire acquisisce una lucentezza compositiva e un’eleganza formale prima offuscate dagli inevitabili paragoni del tempo.
Il
disco segna il passaggio della band a una major (Capitol) e
rappresenta, nonostante i giudizi non proprio benevoli da parte della
critica, anche il capitolo che regala agli Interpol una solida statura
internazionale (l’album debutta al quarto posto di Billboard 200 e vende
154.000 copie in una settimana). Meno cupo e umbratile di Turn On The Bright Light e Antics,
Our Love To Admire mantiene vivo il mood malinconico che aveva
contraddistinto i due album precedenti, ma lo innesca attraverso una
formula canzone molto più strutturata che nei due primi capitoli e
caratterizzata da un wall of sound chitarristico ancora più incline al
rock.
Il
mood si fa meno elusivo e più esplicito, ogni struggimento viene
palesato in modo diretto, senza filtri, con un susseguirsi di canzoni
che puntano alla eterogeneità espressiva, pur mantenendo una costante
linearità formale. Non tutto è di livello (Who Do You Think? e Mammoth sono canzoni così così, prive di mordente), e The Heinrich Maneuver è un singolo potente, dal piglio aggressivo ma dallo svolgimento prevedibile.
Tuttavia, nonostante qualche passo falso, Our Love To Admire
è costellato di autentiche gemme, che anche a distanza di tredici anni
continuano a suonare benissimo: l’albeggiare nebbioso e gli sprofondi
di Pioneer To The Falls, il tintinnare della chitarra e la complessa progressione melodica Pace Is The Trick, la cupa Rest My Chemestry, graffiante e cadenzata, il basso pulsante e la ritmica quadrata di No I In Threesome,
con Fogarino a dettare legge, restano, a guardare oggi la storia della
band e i chiaroscuri dell’ultima parte di carriera, alcune delle
migliori canzoni mai scritte da Banks e soci. Che dopo Our Love To Admire, molleranno la Capitol per tornare nel 2010 alla Matador con un nuovo disco (Interpol), questo sì, decisamente anonimo.
Blackswan, mercoledì 15/01/2020
2 commenti:
Non li conoscevo: molto interessanti. Credo che approfondirò. Grazie
@Haldeyde: è sempre un piacere :)
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