Dopo il successo di Shotgun Lovesongs e Il cuore degli uomini,
Nickolas Butler si ispira a una storia della sua terra per dare vita a
un romanzo colmo di umanità. Con la consueta bravura nel ritrarre
l'America rurale, lo scrittore del Midwest coglie temi universali – le
contraddizioni del credere, il dolore del lutto, il peso
dell'affetto – e li trasforma in sensazioni concrete, come l'odore della
polvere e della benzina, la vista a perdita d'occhio sui campi e i
solchi profondi che l'amore scava dentro ognuno di noi.
Lyle
è un uomo semplice, devoto, attaccato alla famiglia. Ha sessantacinque
anni, è in pensione e aiuta l’amico Otis nella conduzione di un meleto,
che produce frutti squisiti. Ama sua moglie Peg, sua figlia adottiva
Shiloh, e soprattutto il nipotino Isaac, la luce che illumina le sue
ore. Una vita ordinaria, tutta casa e chiesa, i cui giorni sono scanditi
dall’affetto dei cari e degli amici (il mansueto Hoot e Charlie, il
prete della parrocchia) e dallo scorrere delle stagioni del Wisconsin,
la terra dove ha vissuto tutta la propria esistenza. Un giorno, però,
Shiloh si invaghisce di Peter, un predicatore affascinante, ma senza
scrupoli, ed entra a far parte di una setta religiosa, in cui tutti sono
convinti che Isaac abbia capacità taumaturgiche di guaritore. Ben resto
i rapporti fra Lyle e Shiloh si incrinano, al punto che la figlia vieta
al nonno di vedere il nipotino.
Ispirato
da una storia vera, Butler ambienta nella sua terra d’adozione (lui è
nato in Pennsylvania) un piccolo dramma famigliare, per riflette con
profondità sul tema della fede e del fanatismo religioso. Impossibile
non tornare con la mente al capolavoro di Flannery O’Connor, Il Cielo è Dei Violenti,
anche se, in questo caso, manca la follia estrema che animava quelle
sconvolgenti pagine, e il tema resta più sfumato, in quanto il
romanziere si concentra sul riverbero che un’idea travisata di religione
può avere sui rapporti umani.
Lo
scrittore, soprattutto, accompagna il suo personaggio principale in un
percorso di consapevolezza, che porta Lyle, sempre in bilico fra
devozione e agnosticismo, a comprendere che la fede altro non è se non
amare il prossimo e la natura, e condividere le sofferenze altrui,
dividendo in egual misura il fardello del dolore.
Butler
evita moralismi e luoghi comune, e tratteggia, invece, con lirismo e
semplicità (la prosa è asciuttissima) una storia comune, di piccolissimo
cabotaggio, che riesce, però, ad avere un respiro universale. In tal
senso, Lyle è un personaggio centrato e a tutto tondo, che vive le
avversità (la malattia dell’amico Hoot, il distacco dal nipote e dalla
figlia), senza mai perdere la bussola del proprio cuore, forte di
un’umanità e di una generosità che gli consentono di essere sempre
presente a se stesso, anche quando tutto sta andando a rotoli.
Non è un caso, infatti, che in alcune pagine di Uomini di Poca Fede, la prosa possieda la grazia e la delicatezza del Kent Haruf di Le Nostre Anime di Notte:
la sensibilità con cui vengono raccontati i sentimenti per la moglie
Peg, l’amico Hoot e il nipotino Isaac, credetemi, sono momenti di alta
letteratura. Un finale niente affatto accomodante è il valore aggiunto a
un romanzo che vi conquisterà dalla prima all’ultima pagina.
Blackswan, giovedì, 26/03/2020
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