E’
il primo febbraio del 2002, quando Damien Rice, songwriter irlandese,
originario di Kildare, pubblica il suo primo album, intitolato
semplicemente O. Il disco, nonostante sia uscito per
un’etichetta indipendente, la 14th Floor (Rice respinse l’offerta di
alcune major, per poter dare sfogo, senza vincoli, alla propria libertà
creativa), scala le classifiche anglosassoni, piazza due singoli nella
top 30, e strappa sperticati elogi da parte della critica specializzata.
Un
disco di folk delicato, intimista e malinconico, che viene saccheggiato
da produzioni cinematografiche e televisive, che inseriscono molte
delle canzoni in esso contenute nelle colonne sonore di film e serie: Delicate in Lost e Dr. House, Cold Water in E.R. – Medici In Prima Linea e nel lungometraggio Stay – Nel Labirinto Della Mente, Cannonball in The L World e The O.C. E’ The Blower’s Daughter, però, la canzone più “rubata”,
visto che compare nella colonna sonora di The L World, in quella del
bellissimo Closer di Mike Nichols e, strano a dirsi, anche ne Il
Caimano, film datato 2006 per la regia del nostro Nanni Moretti.
Una
canzone tanto bella e struggente, questa, da oscurare nel tempo anche
la fama del disco da cui proviene, e che si identifica così tanto con il
suo autore da divenire una sorta di spontanea equazione: Damien Rice = The Blower’s Daughter.
Un brano che avvince fin dall’incomprensibile titolo, in cui molti
hanno voluto un riferimento alla figlia di un fantomatico insegnate di
clarinetto (blower, in inglese, si traduce in soffiatore), anche se lo stesso Rice ha sempre smentito.
Nonostante
il titolo enigmatico e, a ben vedere, non particolarmente evocativo, il
brano entra nell’immaginario collettivo come una delle canzoni più
tristi di sempre, quelle da nodo in gola e fazzoletto alla mano, per
intenderci. Anche perché il testo è molto meno sibillino e si riferisce
con chiarezza a una storia d’amore finita o, volendo creare un’ulteriore
suggestione, a un’attrazione non corrisposta, o a un rapporto
impossibile, coltivato solo nella testa del protagonista del brano.
“Ed è così, proprio come tu hai detto che sarebbe stato”:
la canzone inizia con questa presa di coscienza che tutto è finito, la
consapevolezza che il sogno d’amore è svanito nel nulla, frantumatosi
contro la triste realtà dei fatti. Come dire: ci ho creduto, ho sperato,
nonostante tutto, nonostante tu mi avessi avvertito che sarebbe finita
male.
Certo, l’amore se n’è andato, ciò che poteva essere non è stato, restano il rammarico e la recriminazione (Ti ho detto che ti disprezzo?), ma dimenticare è impossibile e il ricordo fa male (“non posso toglierti gli occhi di dosso, non posso smettere di pensarti”).
Il sentimento, però, non è eterno, e una canzone che codifica nelle
liriche l’iconografia epica di un amore impossibile, ma senza fine, ha
nel finale una svolta sorprendentemente amara: “non posso smettere di pensarti…fino a quando non troverò qualcun altro”.
Leggete
quest’ultima frase in combinato composto con il primo verso della
canzone e avrete scoperto il significato del brano: è così, il cerchio
si chiude (il titolo del disco acquisisce maggior chiarezza), gli amori
vanno e vengono, non c’è nulla che duri per sempre. E come nella vita,
coi suoi corsi e ricorsi, la ripetizione di dinamiche che paiono
esclusive, diventano poi buone per ogni altra relazione. Panta Rei: tutto scorre.
Blackswan, sabato 27/06/2020
2 commenti:
che dire.... se non contare le lacrime, in bicchieri su bicchieri... una poesia.
@ Stefano: canzone struggente, emozionante, intensa. Mamma mia!
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