Sarah Jarosz è una musicista coi fiocchi: voce calda e ricca di sfumature, polistrumentista che si cimenta con grande tecnica alla chitarra, al mandolino, al banjo, e scrittura cristallina. Quattro album finora all’attivo, con cui la songwriter originaria del Texas ha scalato le classifiche di genere, raggiungendo anche la prima piazza, e tre Grammy Award vinti, di cui uno con il progetto parallelo delle I’m With Her, supergruppo composto anche da Sarah Watkins e Aoife O’Donovan.
Una carriera inappuntabile che trova nuova linfa con questo quinto full lenght intitolato World On The Ground. Il Mondo è a terra, suggerisce acutamente il titolo del disco: in questo anno tragico (la Jarosz, però, non si riferisce alla pandemia), spesso sembra davvero che stiamo tutti sprofondando lentamente in un luogo collettivo sommerso, incapaci di mantenere il controllo e di dare un senso alle nostre vite. E’ questo uno dei temi affrontati dalla Jarosz attraverso liriche che focalizzano uno sguardo nostalgico sulla terra che le ha dato i natali, sulle proprie radici, sulla propria infanzia e sull’inizio della sua carriera di musicista.
La songwriter texana, inoltre, si fa produrre per la prima volta dal grande John Leventhal (coautore anche di alcune canzoni e presente in studio come musicista) e la differenza rispetto al passato si sente, eccome: più libertà espressiva, un maggior senso di coesione, un suono più “sudista” e arrangiamenti meno rigidi e volti a esaltare la fluidità delle composizioni e non solo le capacità tecniche della Jarosz.
Tutti elementi che fanno di World On The Ground uno dei migliori capitoli della sua discografia, sicuramente quello più consapevole e personale. Un disco che racconta i travagliati giorni del presente, la paura di invecchiare, di prendere scelte sbagliate o di essere preda delle frustrazioni, e rievoca la memoria del passato (Eve e Hometown in tal senso sono assai esplicite); eppure, nonostante un diffuso senso di nostalgia e un retrogusto amarognolo, la musica del Jarosz resta come sospesa, leggera e piena di speranza.
Ballate morbide ed eleganti, che scivolano sul velluto di poche note di piano (la commovente Orange And Blue, che evoca il Jackson browne più malinconico), accelerano un poco il passo su ritmiche più sferzanti (il battito neilyounghiano di I’ll Be Gone) o vengono soffiate da una brezza dolcissima e carezzevole (i contorni diafani della trasognata What Do I Do).
World On The Ground è molte cose contemporaneamente: emotivamente affascinante, accogliente e familiare, fortemente connotato da ricordi personali che, però, la poetica della Jarosz e l’ampio respiro della narrazione rendono universali. Un disco decisamente più consapevole e maturo, che sigilla come meglio non potrebbe la prima parte di carriera della ventinovenne artista texana.
VOTO: 7,5
Blackswan, domenica 04/10/2020
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