27 anni. I maledetti 27 anni di Kurt Cobain, Jim Morrison, Janis Joplin. I maledetti 27 anni di Amy Winehouse, cometa capace di incendiare nella notte il cuore di chiunque abbia avuto la fortuna di ascoltare la sua voce, un bagliore di luce tanto fugace quanto luminoso e accecante, un bagliore nell’infinitezza dell’universo.
Alle 15:53 del 23 luglio 2011, Amy Winehouse viene trovata morta nel letto di casa sua al numero 30 di Camden Square. Non si conoscono le cause della morte, l’autopsia ha escluso la presenza di sostanze stupefacenti, confermando invece l’assunzione di alcool, ma non in un quantitativo tale da giustificare il decesso. Alcool e droga. Sono questi i più fedeli compagni di vita della piccola Amy, un talento immenso nel corpo di una donna fragile, incapace di gestire la propria vita, debole e remissiva di fronte ai fantasmi del proprio dolore, indifesa agli occhi dei lupi voraci che la circondavano e che le hanno portato via quell’esuberanza e quella felicità che, sempre, dovrebbe essere il motore esistenziale di una giovane ragazza.
Amy muore da sola, minata dalla dipendenza, logorata dall’insensibilità altrui e soffocata da una richiesta d’amore che nessuno vuole o può ascoltare. La sua breve vita è stata una battaglia da cui è uscita sconfitta, senza appello, e quel cuore grande, lo stesso che, una volta, la spinse a gettarsi in mare per salvare la vita di una donna travolta dalle onde, ha smesso di battere, non a causa di quei fedeli compagni, alcool e droga, ma per troppo dolore.
I rapporti burrascosi con il produttore Mark Ronson, che si vantò di essere lui l’artefice del successo di Back To Black, quelli con il padre padrone Mitch, che pubblica Amy, My Daugter, sfruttando la morte della figlia a corpo ancora caldo, quelli con il proprio corpo (la bulimia e la chirurgia estetica) e quelli, infine, con l’amato ex marito Blake Fielder-Civil, compagno di sbronze e di sballi, che non ha saputo amare e proteggere quella ragazza tanto dolce quanto infelice, che non riusciva a dimenticarlo ("Amo ancora Blake ed ho voglia di vivere con lui nella mia nuova casa. Non gli permetterò di divorziare da me, lui è la versione maschile di me siamo fatti l'uno per l'altra”), hanno segnato una traiettoria esiziale.
L’amore salva la vita, ma Amy non si sentiva amata ed è morta. Perché l’amore è un gioco a perdere: divampa come un incendio, ti fa sentire onnipotente, ma prima o poi svanisce, portando via il senso di tutto, la speranza e lo sguardo rivolto al futuro. “Per te ero una fiamma, un fuoco alto cinque piani, mentre arrivavi” canta Amy, con quell’incredibile voce da nera, che raggrumava un gusto agrodolce di tormento, whisky e passione.
L’amore, però, è un fiamma che divampa nelle intemperie, arde, riscalda, ma può spegnersi in un attimo: “L’amore è un gioco a perdere, uno che vorrei non aver mai giocato, che casino abbiamo combinato, E ora, il fotogramma finale. L'amore è un gioco a perdere.”Si può lottare per amore, anche se sai che il destino è segnato, che il giocatore d’azzardo che hai di fronte (Know you're a gambling man) bara e non ti lascia speranza:” Anche se combatto alla cieca, l'amore è un destino rassegnato, i ricordi mi rovinano la mente, l’amore è un destino rassegnato, oltre le probabilità inutili e deriso dagli dei”.
Amy muore con questa certezza nel cuore: di aver dato tutto, quando ormai tutto era inutile, di aver dedicato tutta se stessa a chi non ne voleva più sapere, e di essere sola, vittima di una fato crudele e derisa dagli dei.
Meraviglia in un disco di meraviglie (Rehab, You Know I’m Not Good, Back To Black, tra le altre), Love Is a Losing Game fu il quinto singolo estratto dal celebrato Back To Black, ma nonostante la bellezza del brano è stato quello che ha venduto meno nella carriera della Winehouse, arrivando solo alla piazza 33 delle charts britanniche. Un riconoscimento postumo alla caratura, musicale e poetica, della canzone arrivò, comunque, nel 2008, quando, a un corso di letteratura dell’Università di Cambridge, le liriche del brano vennero studiate per trovare similitudini con i poemi di Sir Walter Releigh, figura storica e letteraria inglese di primissimo piano.
Amy se n’è andata troppo presto, ma ha lasciato due dischi, che sono tra le pagine più intense del pop soul del nuovo millennio, creando schiere di artiste che hanno cercato di replicare il suo approccio unico e inimitabile. Perché Amy ha cantato esattamente come ha vissuto: strafatta di alcool e di passione, senza filtri e protezioni, camminando sulla corda tesa di un’esistenza ostile, raccontando l’animo femminile nel modo sincero, acuto e profondo di chi paga il proprio immenso talento giocando, con coraggio, un gioco pericoloso e dall’esito scontato. L’amore, se c’è, salva la vita, se non c’è, rende l’arte eterna. Piccola, grande Amy.
Blackswan, venerdì 25/06/2021
2 commenti:
Ricordo di lei una sua esibizione da ubriaca in un tour .
Sapeva tenere bene il palco lo stesso anche poco sobria.
Povera ragazza.
Forse son distanti anni luce almeno per durata di carriera ma la sua fine mi ha ricordato un po’ quella di Dolores O’Riordan .
Ho Black to black …lo considero un piccolo gioiello.
Credo che la sua sregolatezza abbia contribuito a creare il mito oltre al suo indubbiò talento.
Sì è stata una che ha sofferto molto…troppo fragile.
Bello quello che hai scritto su di lei.
Complimenti
@ Max: Grazie! Il paragone con Dolores ci sta. Entrambe molto fragili e incapaci di gestire la loro vita e il successo. La morte prematura crea sempre un aura di leggenda. Ma credo che Amy se la sarebbe conquistata anche da viva.
Buona giornata. :)
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