Dalla seconda metà degli anni '90, gli svedesi Last Days of April (originari di Stoccolma) hanno dato vita a una successione di dischi luminosi e ricchi di ganci melodici, facendo guadagnare al cantante, chitarrista e autore a tutto tondo della band, Karl Larsson, la reputazione di cantautore brillante e grande interprete del suono americano. Con Even The Good Days Are Bad, Larsson e co. sfornano il loro decimo album in studio, dopo il bellissimo Sea of Clouds (2015), che conferma quanto di positivo abbiamo sempre pensato di questa onesta compagine svedese: la capacità di scrivere canzoni melodiche di facile presa, che mescolano con mestiere pop, folk, rock e scampoli di alt country e citano con trasparenza modelli stilistici che vanno dai Beatles ai Jayhawks e Wilco, solo per citarne alcuni.
Chitarre scintillanti, linee di synth caracollanti, batteria incisiva, produzione analogica e la voce vulnerabile ma resiliente di Larsson, fanno di Even The Good Days Are Bad un disco allo stesso tempo nuovo e classico, attuale e senza tempo.
L'album ha iniziato la sua gestazione nel 2019, grazie a Larsson che ha portato alla luce canzoni risalenti ai primi anni 2000 e ha scritto parecchio nuovo materiale.
La sezione ritmica di lunga data della band, il batterista Magnus Olsson e il bassista Rikard Lidhamn, si è unita al cantante per registrare al leggendario Studio Gröndahl di Stoccolma. Larsson ha quindi lavorato alle registrazioni nel suo studio di casa per definire le sovraincisioni e prendersi il tempo per ricamare le ricche trame melodiche dell'album. Poi, qualcosa di inaspettato è successo a interrompere bruscamente il percorso iniziato: una pandemia globale.
Anche se The Good Days Are Bad era già in fase di completamento, la crisi ha rallentato e complicato il processo, finendo per incidere in qualche modo sui testi e il mood dell’album, che fluttua a mezz’aria, in un limbo fatto di speranza per un futuro migliore e di disarmante tristezza per il presente. Così, la title track finisce per riflettere l'umore odierno dell'intero pianeta, mentre in Alone Larsson canta la fatica dell'isolamento che tutti abbiamo sopportato nei mesi trascorsi.
Il disco è, comunque, piacevolissimo, la band procede con il pilota automatico e il songwriting è prevedibile ma avvincente. Mancano grandi guizzi, è vero, ma la title track che apre il disco e la conclusiva Downer che lo chiude, con echi Fleetwood Mac, dimostrano la capacità di Larsson di scrivere grandi canzoni, che non saranno eterne, ma sanno come dare refrigerio melodico alle nostre accaldate orecchie.
Voto: 6,5
Blackswan, lunedì 30/08/2021
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