Sono stati fatti molti studi e versati fiumi d’inchiostro per ricostruire filologicamente la provenienza di Black Is The Color Of My True Love’s Hair, un traditional folk, le cui origini sembrerebbero risalire alla terra di Scozia, citata espressamente nel testo originale della canzone (il fiume Clyde). Una canzone, però, che, come succede a molti brani folk dalle origini antiche, ha mutato abiti nel corso del tempo, sia da un punto di vista musicale che testuale. Il brano, che viene già citato dagli studiosi a fine ‘800, fu, infatti, erroneamente fatto rientrare nella tradizione musicale dei monti Appalachi, in quanto John Jacob Niles (1892-1980), compositore, cantante, musicista e ricercatore folklorico del Kentucky, se ne attribuì la paternità, avendone modificato la melodia, che è poi quella che tutti oggi conosciamo.
Black Is The Color Of My True Love’s Hair, nella sua versione originale, recita una sorta di lettera scritta da una ragazza, disperata per aver appreso della morte in guerra del suo innamorato. Un brano tristissimo, il lamento di una donna per un amore che poteva essere eterno e che invece la malasorte ha distrutto, infrangendo i sogni di una giovane coppia. Un testo intenso e appassionato, che descrive con inusuale delicatezza la profondità del legame d’amore: “Nero è il colore dei capelli del mio vero amore, il volto come una bella rosa, il viso più dolce e le mani più gentili, amo il terreno su cui si posa. Amo il mio amore e lui lo sa bene, amo il terreno sul quale cammina…”. La morte, però, ha cancellato la speranza di un futuro insieme, possibile solo nell’aldilà, e ha trasformato la grazia del sentimento in uno struggente stato d’invasiva nostalgia: “L’inverno è trascorso e le foglie sono verdi, sono finiti i tempi che abbiamo conosciuto, e tuttavia spero che verrà il giorno, quanto tu ed io saremo una cosa sola. Andrò al Clyde a piangere e singhiozzare, perchè non potrò mai più essere contenta, ti scriverò delle brevi righe, e patirò la morte diecimila volte”. Liriche al contempo dolenti e dolcissime, in cui il colore nero dei capelli dell’amato diviene anche il vuoto cromatico che accompagna un lutto impossibile da rielaborare.
La canzone fu reinterpretata nel corso degli anni da moltissimi artisti quali Joan Baez, Christy Moore, Luciano Berio, che mise anche mano agli arrangiamenti, e più di recente dai Coors, da Celine Dion e da Paul Weller. La versione più nota, però, è senza dubbio quella di Nina Simone, che la pubblicò per la prima volta nel suo live Nina Simone At Town Hall del 1959. La reinterpretazione della cantante e pianista originaria della Carolina del Nord, però, ha un testo modificato e più corto, che ben presto divenne un inno del movimento per i diritti civili. “Nero è il colore dei capelli del mio vero amore, il viso dolce e meraviglioso, gli occhi più puri e le mani più forti, amo la terra che calpesta, amo la terra che calpesta”, canta la Simone. Se è vero, però, che gli struggenti riferimenti sentimentali restano immutati, è altrettanto vero che il colore nero assume, qui, tutt’altra valenza: è, infatti, l’orgogliosa affermazione identitaria di un popolo in lotta, allora come oggi, per i propri diritti.
Blackswan, venerdì 17/09/2021
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