Abbiamo dovuto aspettare ben cinque anni per un nuovo album dei texani Spoon, dal momento che il loro ultimo disco, Hot Thoughts, risale al lontano 2017. Quell’album, assai ambizioso, cerebrale e strutturalmente meno immediato, era una sorta di puzzle sonoro, all’apparenza confuso, in realtà molto efficace alla distanza, tanto da suonare come un episodio, si anomalo, ma comunque incredibilmente spassoso.
Con il nuovo Lucifer On The Sofa, la band mette, invece, in atto una giravolta, si stacca decisamente da quel suono e imbocca la direzione opposta, alla ricerca di un’espressività più immediata e di un approccio alla canzone quasi “live”, nonostante abbiano iniziato a lavorare su questo materiale fin dal 2018.
Un disco, Lucifer, che ha visto per la band texana anche il ritorno a casa, ad Austin, dove, per la prima volta da Gimme Fiction del 2005, gli Spoon hanno registrato tutta la scaletta, utilizzando lo studio Public Hi-Fi di proprietà del batterista Jim Eno, e avvalendosi dei servigi del produttore dei Queens Of The Stone Age, Mark Rankin, e del poliedrico Dave Fridmann, che aveva messo anche mano al precedente Hot Thoughts.
Che gli Spoon siano in formissima, rigenerati dal lungo iato e galvanizzati da un’inclinazione più decisamente rockista, lo si capisce fin dall’opener Held, non una canzone originale, ma una cover di un pezzo datato 1999, a firma Bill Callahan, alias Smog. Un brano cadenzato e graffiante, riletto senza stravolgere l’originale, ma suonato come fosse la chiave di lettura per interpretare il suono che attraversa l’intero disco, e cioè quello di una band che si è scrollata di dosso la polvere della lunga inattività, ritrovando nel rock l’energia che da sempre fa vibrare le loro performance live. Un approccio molto classico, se vogliamo, che arriva immediatamente al centro del bersaglio e che strattona l’ascoltatore con una tripletta iniziale da urlo: la citata Held, il primo singolo, The Hardest Cut, e la funkeggiante The Devil & Mr. Jones, che ammicca addirittura ai Rolling Stones.
Un taglio sonoro, quello che permea Lucifer, che spesso strizza l’occhio agli anni ’70, facendo convivere all’interno della stessa scaletta le chitarre vibranti di On The Radio, il pianoforte della bellissima Satellite o il potenziale radiofonico di Wild (a qualcuno torneranno in mente anche gli U2).
Uno degli elementi distintivi dei dischi degli Spoon è che sono sempre traboccanti di dettagli e sfumature che non possono essere visualizzate tutte nei primi ascolti, il che significa che ogni nuovo ascolto diventa più gratificante del precedente. Questo particolare è ancora più evidente in Lucifer, un disco di cui, almeno all’inizio, non si riesce a cogliere il tessuto connettivo che lega i singoli brani, salvo, poi, quando i punti di forza più profondi divengono evidenti, rendersi conto di essere di fronte a un'eccezionale raccolta di canzoni, coerenti per estetica e sostanza. Insomma, gli Spoon non sbagliano un colpo, riuscendo ogni volta a reinventarsi senza inventare nulla, a mantenere immediatamente riconoscibile il proprio stile, spostando di poco le coordinate sonore, così da risultare sempre tanto famigliari quanto brillanti.
VOTO: 8
Blackswan, martedì 01/03/2022
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