Un talento cristallino, un disco pubblicato a soli diciassette anni, la possibilità di entrare, giovanissima, nel circuito della musica che conta. Jaime Wyatt aveva il proprio futuro in mano e ha rischiato di sperperarlo per colpa di un’indole ribelle. La droga, la dipendenza, un crimine, otto mesi passati in galera, stavano per sprofondarla in un baratro senza fine. Poi, la resurrezione, il ritorno alla normalità, la forza di aggrapparsi alla musica per uscire dal dramma e sopravvivere.
Sin da quello che possiamo definire il suo vero e proprio debutto (Felony Blues del 2017), Jaime Wyatt ha impressionato grazie a un approccio sincero e verace, attraverso il quale ha plasmato, e continua a plasmare, una musica melodicamente contagiosa, in cui confluiscono country, rock, la California degli anni Settanta, soul e gospel e un’istintuale propensione al pop.
Oggi,
come recita il titolo del nuovo disco, la Wyatt sta bene, ha acquisito
ulteriore maturità e consapevolezza, e il suo terzo album è un'ulteriore
dimostrazione di come sia cresciuta costantemente come musicista e
cantautrice, affinando ulteriormente il proprio stile e il proprio
songwriting. Il salto di qualità è merito anche di Adrian Quesada dei
Black Pumas, e che ha levigato le undici canzoni in scaletta,
gonfiandole di echi soul e R&B e contornandole di accenti
psichedelici, come è evidente dallo splendido suono creato per le
chitarre.
Nel disco si respira positività e ottimismo, una nuova visione della vita, con cui la Wyatt si mette ulteriormente a nudo, senza filtri e senza maschere, lasciandosi andare, cercando di essere finalmente e completamente felice. Non rinnega il suo passato, le proprie esperienze di vita, la dipendenza, la propensione al crimine, la gavetta, lo sradicamento dalla sua terra d’origine (l’Oklahoma) per trasferirsi in California: tutto questo bagaglio esistenziale è diventato oggi forza propulsiva che spinge alla ricerca della libertà.
In
tal senso, l’opener "World Worth Keeping" apre il nuovo corso con una
intensa riflessione sulla bellezza che circonda l’uomo e per cui vale la
pena vivere e lottare (“I wanna show them the mountains and say
drink from the clear spring water fresh from the mountain top and the
most beautiful sunsets i have ever seen it’s a world worth keeping”),
e getta le basi per il tema centrale dell’album, ovvero il rifiuto di
permettere al cinismo di prendere il sopravvento sulla propria
sensibilità. Questo brano è, inoltre, coi suoi echi Muscle Shoals, la
cartina di tornasole di un disco che possiede una preponderante
attitudine soul e un nostalgico tocco sudista, come è evidente
nell’accattivante "Back To The Country", che ripercorre la tappe della
sua vita selvaggia, nella piacevolezza rilassata della title track (che sfoggia una spettacolare linea di basso) o nell’irresistibile "Love Is A Place", in cui il soul si fonde in infusione zuccherina col pop anni Sessanta, in una giocosa canzone d’amore (“Love has freed me from a lifetime of pain”) che evoca una corsa in decapottabile in una ventosa giornata di sole.
Il senso di libertà, la volontà di guardare il mondo attraverso il filtro dell’ottimismo permea l’intera scaletta, che riserva svariate sorprese, tra cui una sensuale cover di "Althea" dei Grateful Dead, un modo per la Wyatt di ricordare il defunto padre, che la portava a vedere tantissimi concerti, e il blues carnale di "Hold Me One More Time", che mette in mostra le eccellenti doti vocali della ragazza dell’Oklahoma e la sapiente mano di Quesada, che piazza nel finale uno straniante tocco psichedelico attraverso un acidissimo suono di chitarra. Non mancano, poi, la ballata spezza cuore ("Where The Damned"), che è anche il momento più intimo del disco, e quelle sonorità country (la conclusiva "Moonlighter") che rappresentano le radici della sua storia artistica, ma che risultano leggermente fuori contesto rispetto al restante mood dell’album.
Poco male. La voce roca e vissuta della Wyatt è talmente affascinante da riuscire a dare vitalità anche ai momenti più deboli, catalizzando l’attenzione ed emozionando con sincerità. Feel Good non è certo un disco rivoluzionario, ma segna sicuramente un’evoluzione nella storia artistica della Wyatt, che, attraverso alcune canzoni stellari, dimostra di avere tutte le carte in regola per sedersi alla stessa tavola del miglior cantautorato femminile a stelle e strisce.
VOTO: 8
GENERE: Country, Rock, Soul, R&B
Blackswan, giovedì 30/11/2023