Dopo un decennio di carriera in cui i Black Keys hanno vestito i panni un po’ stretti di band di culto, il loro sesto album, Brothers del 2010, e il successivo El Camino (2011), hanno spinto il duo composto da Dan Auerbach e Patrick Carney in un'altra dimensione (grazie anche alla super hit Lonely Boy). Non un successo tale da elevarli a fenomeno di prima grandezza, ma sicuramente un’esposizione mediatica che ha alzato notevolmente l’asticella delle aspettative verso la band originaria dell’Ohio. Tanto che, i numerosi elogi ricevuti sembravano quasi aver colto di sorpresa i Black Keys, che, da quel momento, hanno cercato di espandere la loro tavolozza musicale, senza, tuttavia, allontanarsi troppo dal rock blues sanguigno degli esordi.
Se i lavori successivi mostravano anche inclinazioni diverse (con frequenti aperture verso il southern soul), senza tuttavia mai stupire veramente, Delta Kream (2021) ha portato freschezza nella loro produzione, come talvolta riescono a fare i dischi di cover. Venuta meno la pressione derivante da scrivere canzoni originali, la coppia sembrava riscoprire la gioia di suonare, sic et simpliciter.
Il successivo Dropout Boogie (2022), che ha ricevuto due nomination ai Grammy, ha visto la band apliare il raggio d’azione grazie al contributo di alcuni ospiti, cosa avvenuta anche in questo Ohio Players, in cui, forse, per la prima volta, lo spettro espressivo della band si fa decisamente più ampio all’interno anche della stessa scaletta.
Ad affiancare il duo, questa volta, ci sono Noel Gallagher e Beck, due pezzi da novanta, che hanno inciso in modo evidente nella scrittura dei brani. Noel Gallagher, un musicista che non è certo noto per il suo spirito collaborativo, ha co-scritto tre canzoni (registrate in altrettanti giorni ai Toe Rag Studios di Londra): la scattante "You'll Pay", groove r’n’b e deliziose chitarre surf-rock, la martellante "Only Love Matters" e la ballata in mid tempo "On The Game", forse la più distintiva del songwriting dell’ex Oasis, con quello spiccato retrogusto lennoniano che attraversa i quattro minuti del brano.
E’ soprattutto Beck Hansen, però, ad avere un posto di rilievo in tutto l’album, con le sue impronte digitali che lasciano tracce su ben sette canzoni. Lo troviamo a cantare spavaldo su "Paper Crown", un trascinante ibrido funky rap, e a metter mano, ad esempio, nell’eccellente "Live Till I Die", che combina rock psichedelico con le classiche e sontuose armonie a la Beck, e nella traccia d’apertura, "This Is Nowhere", uno dei brani più pop mai scritti dai Black Keys, grazie a un ritornello appiccicoso e a quei sintetizzatori che si insinuano sornioni nelle trame della ritmica.
Se "Don't Let Me Go" si immerge nel soul degli anni '60 e '70, così come la cover con arrangiamento d’archi di "I Forgot to Be Your Lover" di William Bell, in alcune occasioni riemergono dal passato anche i Black Keys del primo decennio, grazie al trascinante rock blues di "Please Me (Till I'm Satisfied)", la splendida ballata "Free Tree" e la pulsante "Read Em and Weep", in equilibrio fra ruvidezza garage rock e languori western.
Manca da citare anche "Candy And Her Friends", il cui ritornello clamorosamente malinconico evapora inaspettatamente in una seconda parte di canzone in cui il protagonista diventa il rapper Lil Noid, dando vita a un connubio straniante ma decisamente riuscito.
Come spesso accade nei dischi dei Black Keys, Ohio Players è un disco più lungo del necessario, che perde un po’ di appeal nella seconda parte, pur mantenendo un buon livello d’ispirazione. La struttura dei brani, che ruotano intorno all’ossatura ritmica di Carney, è collaudatissima, ma più che in altre occasioni i numerosi ganci melodici sono tutti di prim’ordine. Il breve minutaggio delle canzoni (molte sotto i tre minuti di durata) e la vasta gamma espressiva rendono l’ascolto piacevole e divertente, restituendo ai fan una band in forma come nei suoi giorni migliori.
Voto: 7,5
Genere: Rock, Blues, Soul
Blackswan, lunedì 13/05/2024
Nessun commento:
Posta un commento