L’amore per Laura Nyro mi accompagna da anni, fin dalla prima volta che mi capitò di ascoltare un suo disco, nel lontano 1990. Di lei, mi ha sempre affascinato lo sguardo triste e il sorriso aperto, la otale incapacità di rapportarsi allo star system, quell'essere sfuggente non per distaccata superbia, ma a cagione di un'indole malinconicamente solitaria. Era una donna che viveva di contraddizioni: dal lato umano, era una persona timida, insicura, schiva ( si narra che durante la prima audizione per una grande casa discografica, volle suonare al buio, con il piano illuminato solo dalla luce di un televisore ), mentre il suo lato artistico svelava una donna esuberante e passionale, un specie torrente in costante piena di musica, poesia e raffinate fantasie letterarie. Laura abbatteva continuamente gli standard espressivi del suo tempo, si gettava in una febbrile ricerca, spesso istintuale, per superare i limiti convenzionali del fare arte e del comporre musica. Il suo estro compositivo era tutto tranne che rigoroso, la sua musica era costruita su coordinate talvolta indecifrabili, non apparteneva a un genere o a un contesto, dal momento che la sua ispirazione traeva linfa vitale da un coacervo di moduli, riadattati a uso e consumo di un'inventiva senza freno. Eppure, come spesso accade a chi è capace di guardare oltre, la Nyro non trovò mai in vita il successo che si sarebbe meritata: troppo colta, troppo complessa per il grande pubblico poco aduso al quelle sue canzoni ad incastro, prive della linearità che fa vendere dischi e rassicura l'ascoltatore. A lei non fregava proprio nulla della fama, si definiva " sposata alla musica e alla poesia", riteneva che essere artisti significasse essere liberi di fare quel che si vuole, senza compromessi. La sua gloria arrivò postuma, solo dopo il prematuro decesso avvenuto nel 1997 per un tumore alle ovaie ( lo stesso male che uccise anche la di lei madre ). Come la storia spesso ci ha insegnato, perché il mondo si accorgesse della Nyro, fu necessario che la sua musica venisse a mancare, che la critica si rendesse conto di quanto fosse attuale il suo linguaggio e di quanti artisti, nel corso degli anni, da quella musica abbiano tratto ispirazione. Eli And The Thirtheen Confession è uno dei dischi che ho regalato maggiormente nella mia vita ed è incredibile come, chiunque abbia ascoltato queste canzoni, sia rimasto folgorato dall’attualità di suoni che sembrano figli legittimi dei nostri tempi. "Bravissima! Ma chi è ? Non l'ho mai sentita! Ma il cd è uscito quest'anno?" le reazioni più frequenti. Appunto… La Nyro era un artista che guardava al futuro e per questo vive nel presente. In virtù di un’estensione vocale non comune, la sua voce potrebbe essere paragonata ad un mustang che galoppa brado per la prateria: una corsa sbrigliata e mai doma verso orizzonti che si aprono all’infinito. Un timbro unico, un’esplosione di ottave da far tremare i cristalli, una capacità interpretativa multiforme e inimitabile. Prendete, ad esempio, l'iniziale Luckie e domandatevi quante volte nella vostra vita abbiate ascoltato qualcuno prendere tutte quelle note, con così tanta disinvoltura. La stessa disinvoltura con cui si sviluppa la trama musicale di queste tredici gemme di perfetta, e oserei dire sublime, armonia. Tredici canzoni che si rincorrono per bellezza interpretativa e compositiva, che spaziano fra jazz, musical, pop, blues, soul, e sono sostenute da un'architettura che incastra le ottave impossibili della singer newyorkese con un'imprevedibile sequenza di cambi tempo, improvvisi rallenty e repentine accelerazioni. Il tutto impreziosito ed esaltato dagli arrangiamenti scintillanti di Charlie Calello, innovativi, freschi, elegantissimi. Dall'iniziale, già citata, Luckie , con le sue aperture orchestrali, al blues strapazzato di Povertry Train ( attenzione al flauto, please ), alle atmosfere jazzy di Lonely Women (con la voce della Nyro che si tuffa senza rete nel profondo dell'anima di tutte le donne) attraverso il soul sixties di Eli's Comin' ( che chiama in causa l'immensa Aretha ) e le scale impazzite di Timer , fino all'ingovernabile energia di Once It Was Alright Now , col suo incedere altalenante e il groove irresistibile, non c'è un istante di questo disco che non faccia palpitare di emozioni. Un’opera imprescindibile, pervasa da sbrigliata inventiva e inesauribili intuizioni, fondamentale per comprendere da dove nascano tutte le Amy Winehouse del nostro secolo. Era il 1968, ma riascoltato ora, a più di quarant'anni di distanza, Eli sembra addirittura un avamposto avanguardistico. Insieme al più melodico Tapestry di Carole King ed al più introspettivo Blue di Joni Mitchell, il capolavoro di Laura Nyro segna il crocevia da cui passerà tutto il cantautorato femminile negli anni a venire.
Blackswan, sabato 19/03/2011
Nessun commento:
Posta un commento