Talvolta l'arte,per rappresentare la realtà, usa un linguaggio crudo,disturbante ,violento.Descrivere un orrore o una tragedia o la brutalità della vita lo rende necessario,spesso indispensabile.Capita nel cinema, nella letteratura,nella fotografia,e qualche esempio si trova anche in forme avanguardistiche di pittura o scultura ( mi vengono in mente le sculture di Cattelan ).D'innanzi a questi casi,possiamo uscire dalla sala,posare il libro che stiamo leggendo o distogliere lo sguardo.E probabilmente,avvertiremo le persone che ci sono vicine cosa si rischia a vedere quel film,leggere quel libro o visitare quella mostra.Ciò che avviene in queste forme d'arte difficilmente avviene in campo musicale.Ascoltare una composizione che non ci piace può infastidire,annoiare,alla peggio, innervosire.Terrorizzare mai.Con l'eccezione di " Franckie Teardrop ",nucleo centrale di questo seminale album dei Suicide.Nick Hornby,nel suo saggio " 31 canzoni ",dice che per affrontare i dieci minuti e passa di " Frankie ",occorra chiudersi in una stanza,assicurasi di essere soli e dopo averla ascoltata, prendersi un giorno di ferie per metabolizzare.Da evitare l'ascolto in cuffia,perchè porterebbe quasi certamente al ricovero in ospedale. Niente di più vero.Questa canzone conduce l'ascoltatore in un abisso di terrore tale da riverberarsi anche sul fisico.Alla fine dell'ascolto, si ha l'impressione di essere stati brutalizzati, si galleggia in un senso di disturbante straniamento che taglia il fiato e stringe la gola.Occorrono un paio d'ore per riprendere un ottimale rapporto con la realtà circostante dopo aver ascoltato questi dieci minuti di martellamento noise che percuotono le orecchie e l'anima.Fischi ,sibili,distorsioni,riverberi.E la storia di Frankie,soprattutto.Frankie,giovane uomo,veterano del Vietnam,sposato con un figlio.Frankie che fa due lavori e non riesce comunque a sbarcare il lunario.Frankie,i cui ricordi di guerra,tengono perennemente sull'orlo del baratro della follia. Frankie che rientra a casa disperato e massacra la propria famiglia.Frankie che si suicida e precipita all'inferno.Le urla belluine di Alan Vega hanno un potere visivo che nessuna pellicola potrà mai raggiungere.Scavano un solco nel nostro inconscio e riportano alla luce le nostre paure più nascoste,gli orrori che avevamo obliato.Ci scaraventano,senza mezze misure,in un incubo horror straordinariamente reale e per questo ancora più crudele."Suicide" però non è solo Frankie,anche se è innegabile che questa canzone finisca per relegare le altre a ruolo di meri riempitivi.Ma sarebbe fare un torto alla storia della musica considerarle tali.Il primo disco del duo newyorkese è la cupa avanguardia di uno sperimentalismo elettronico che azzera ( ancora una volta dopo il punk ) i canoni espressivi della musica come la si conosceva prima.E' un nuovo inizio ma anche un punto di non ritorno.I Suicide tritano il rockabilly in un tessuto narcolettico di ansimi e partiture elettroniche (Ghost Rider); scompongo il rock,minimizzandone la forma e i contenuti (Rocket Usa); violentano la ballata d'amore ( Cheree ), togliendo i canditi ed irrorandola di vetriolo.Dieci pezzi in cui una centrifuga sonora senza precedenti getta le basi per un futuro, a cui attingeranno a piene mani Sigue Sigue Sputnik, Soft Cell, Jesus and Mary Chain, Devo e Nick Cave,per citarne alcuni. Un disco tanto affascinante,colto e ricco di suggestioni ,da sedurre perfino Bruce Springsteen,che in "State Trooper",gioiellino da " Nebraska " ,cita smaccatamente il duo newyorkese.L'edizione deluxe,edita nel 1998,contiene tre pezzi inediti e un secondo cd live,dal titolo" 23 minutes over Brussels ",resoconto di un concerto tenuto dai Suicide come spalla di Elvis Costello.Un live act finito male,visto che il duo fu scacciato dal palco a bottigliate, durante l'esecuzione di "Frankie" ( i fischi, i buuuuu, e i "fuck off" si sentono proprio tutti ).
Blackswan, giovedì 18/08/2011
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