Dialogo surreale.
Io:<< Domani, non mi trovi in ufficio perché sciopero>>.
L’altro: << Scioperi ? Ma non scioperano solo i dipendenti pubblici ?>>.
Io: <<No. E’ uno sciopero generale>>.
L’altro : << Ah. Io non posso scioperare >>.
Io:<< Strano, così a naso mi parrebbe un diritto costituzionalmente garantito >>.
L’altro : << Lo so. Ma da me non sciopera nessuno >>.
Io: << E quindi ? >>.
L’altro : << Sai com’è…di questi tempi, se non stai attento ti tarpano le ali, rischi anche il posto >>.
Io:<< E’ proprio per questo che si sciopera>>.
L’altro : << Si ma se gli altri non scioperano, io non ne ho il diritto >>.
Censuro per decenza il seguito di questa conversazione realmente avvenuta ieri sera.
Il mio interlocutore è un ragazzo giovane, uno di quelli che si è affacciato da qualche anno al mondo del lavoro e sgomita per emergere: dodici ore in ufficio,giacca e cravatta d’ordinanza, le arie di chi decide il destino del mondo e uno stipendio da fame.Per carità: anche non scioperare è un diritto sacrosanto, ma sarebbe bello che alla base della riflessione ci fosse una qualche consapevolezza politica o quantomeno filosofica.Invece, questo giovane, e molti altri come lui, forse troppi, sono vittime felici di un sistema ricatto.Sono come cani ammansiti al dolore, legati alla catena da un miraggio di carriera ( che ovviamente non ci sarà ), insensibili alle bastonate del padrone, corrotti nel profondo da una ciotola di pastone, fedeli anche ai calci nel culo "che aiutano a crescere ". Una gioventù imborghesita pur in assenza di un ceto borghese, domata dal dio i-phone, inconsapevole della propria forza propulsiva, e soggiogata dalle sirene del successo, in nome del quale,in una sorta di trance autolesionista, sta in realtà bruciandosi il futuro. Oggi,chi sciopera,sciopera soprattutto per loro.Scioperiamo perché un domani i nostri figli abbiano ancora il diritto di ammalarsi ( e di curarsi ) senza per questo essere licenziati; scioperiamo perché il posto fisso non è un privilegio acquisito per nobiltà di stirpe, ma un diritto generato da lotte decennali e conquistato da ciascuno di noi, ogni giorno, coi sacrifici che l’essere lavoratore comporta; scioperiamo perché i nostri giovani non paghino con la propria pensione le scelte scellerate di chi li governa; e scioperiamo perché il rischio di morire in fabbrica o in cantiere è direttamente proporzionale all’erosione dei nostri diritti. Scioperiamo per tutti,per quelli di destra e per quelli di sinistra, per quelli che ci additano sprezzantemente come comunisti, per quelli che “ non sciopero perché tanto non cambia mai niente “, per quelli che “ non posso, sono appena tornato dalle ferie”, per quelli che “boia,governo ladro “ solo a parole, per chi sostiene che in virtù della crisi sia irresponsabile scioperare e tace invece sugli sperperi e l’evasione, per coloro, i più deboli fra tutti, per cui una giornata di paga fa la differenza fra vivere e morire.
Blackswan, martedì 06/09/2011
5 commenti:
Ineccepibile, così tanto da non farmi venire in mente niente da aggiungere, se non una citazione, che ormai ha quasi 100 anni, e che dovrebbe essere insegnata e spiegata a scuola già dalle elementari, da imparare a memoria come l'infinito di Leopardi....
Non credo ci sia bisogno di riportare chi l'abbia scritta....
"Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?
Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti."
Condivido la tua analisi: se lo schiavismo del lavhorror dilaga è anche per la complicità degli schiavi volontari. Del resto, per chi nella testa ha solo figa, moto, macchine e vestiti firmati, qualsiasi modo per procurarseli va bene: sei giorni da servo in catene per farsi bello col Suv la domenica - questo è quello che molti poveri ragazzi chiamano Sogno! Gli stessi genitori li educano a questo, come se li avessero messi al mondo come pezzi di ricambio del sistema di sfruttamento, produzione e consumo...
non credo che il problema sia l'indifferenza, ma semmai la NON DIFFERENZA, cioè il pecoronismo conformista
@Zio Scriba: Spesso però dietro il pecoronismo si nascondono la non voglia di sbattersi a ragionare sui problemi e la pigrizia di affidarsi a un pensiero già pronto e impacchettato, questa è indifferenza, non pensare è indifferenza, pensare che tanto niente cambierà comunque è indifferenza....
@ Lozirion e Zio Scriba :
grazie per il contributo Gramsciano e per le analisi concise ma centrate.personalmente credo che entrambi abbiate ragione.In fin dei conti,conformismo e indifferenza,a pensarci bene,sono le due facce della stessa medaglia.Una vita impostata sul Suv,i centri commerciali e facebook ( per dirne tre )aiuta a colmare i vuoti di personalità ( e quindi,ad omologarsi )e crea un soddisfacimento indifferente verso la vita,i valori,le emozioni.Devo ancora capire quanto di ciò sia responsabile la mia generazione( quelli che oggi hanno quarant'anni ):forse ci siamo arresi troppo presto,abbiamo scelto una sorta di solitudine intellettuale e non abbiamo dato loro vere alternative.
Mah, io sono del 63.
Negli anni 80 della Milano da bere ho mollato un po', come molti, e pur senza essere mai diventato un coglione completo ho avuto qualche anno di cazzeggio e di discoteca.
I trenta-quarantenni di oggi non erano figli nostri, tutt'al più fratelli minori, e forse non toccava a noi raddrizzarli.
Degli zombie nati dal 90 in poi siamo invece pienamente responsabili.
Mio figlio (nato nel 95) non legge un cazzo, e dunque sa poco, ma per fortuna è sveglio, simpatico, è un gran bravo ragazzo e soprattutto è molto attento al prossimo.
Tranne alcune eccezioni, se guardo i suoi compagni di scuola mi intristisco parecchio.
Sono però convinto che la chiave di volta sia riuscire a far capire alla gente che la cultura non deve per forza essere un mattone.
Ci si può acculturare anche in modo leggero, divertente e progressivo, come riuscivano a fare i migliori professori a scuola.
Non è facile, ma è possibile.
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