Genere : Post-Rock
Esiste un luogo comune a proposito della lettura in ragione del quale un buon libro è quello che ti lascia qualcosa, sia essa un’emozione, una riflessione o un pensiero, che poi resteranno per sempre tuoi, cambiandoti inevitabilmente la vita. Di fronte a questa lapalissiana e stringente verità, a me piace ribattere che un buon libro è semmai quello che ti impone un coinvolgimento così totale da portarsi via un pezzo di te, come succede per quelle storie d’amore che restano eterne solo perché ti svuotano l’anima. Il paragone può sembrare ozioso, ma è l’unico che mi viene in mente quando devo descrivere la musica dei Sigur Ros. Per amare la quale, non è sufficiente predisporsi a ricevere, ma occorre piuttosto prepararsi, anima e corpo, ad accettare un livello di coinvolgimento emotivo più alto, quasi fosse una sorta di trascendente dedizione, una totalizzante deriva in cui il sentire viene spinto fino ai limiti del parossismo. Quando nel 2008 uscì Meo Suo I Eyrum Vio Spilum Endalaust, ultimo album in studio prima di quello di cui sto scrivendo, il percorso intrapreso dalla band islandese sembra avere avuto una svolta: c’era un tentativo di portare i suoni a un livello più terreno e di dare alle composizioni il volto convenzionale della canzone. Quel disco, con un brano, udite udite, cantato addirittura in inglese, pur mantenendo un alto livello qualitativo, era tuttavia un lavoro volto a universalizzare un linguaggio musicale fino ad allora comprensibile solo a pochi. Se da un lato, l’obiettivo venne raggiunto ( il relativo tour ebbe un incredibile successo di pubblico ), dall’altro, il caleidoscopio di suggestioni offerto da dischi come ( ) e Von veniva parzialmente ad affievolirsi, lasciando un po’ d’amaro in bocca ai fans della prima ora. Il taglio onirico e cupo del successivo live ( il dvd/cd Inni, del 2011 ) riportava alla luce ( invero assai diafana ) le sonorità di una musica figlia di una ragionata istintività ma incapace tuttavia di assuefarsi ai calcoli matematici dello star system e della commercializzazione. L’attesa per questo Valtari, pertanto, era accompagnata dal dubbio su quale avrebbe potuto essere la strada intrapresa dal gruppo capitanato da Jonsi ed era resa ancora più febbrile dalle insistenti voci che circolavano da tempo a proposito dell’abbandono della band da parte del suo leader. Tuttavia, è sufficiente una canzone, Eg Anda, il brano che apre il cd, perché ogni dubbio, ogni timore, venga fugato. Valtari suona Sigur Ros, dannatamente Sigur Ros, tanto da richiamare alla mente l’ostica astrattezza di Agaetis Byrjum e del già citato Von. Solennemente spirituali e cineree, le otto tracce del disco hanno l’incedere di una messa da requiem, si dipanano nell’intreccio aggrovigliato di visioni estatiche e ansiogeni tormenti. Cronaca di un exitus, Valtari fonde musica sacra, ambient e rock in un flutturare di note che stazionano nel limbo a metà strada fra realtà e dimensione ultraterrena. L’anima abbandona il corpo ma ancora non evapora del tutto e, proiettato verso l’aldilà, lo spirito resta sospeso in un'amniotica indeterminatezza in cui percepisce suoni ed evoca ricordi in nostalgici flash back. La musica traccia il percorso dolente attraverso il quale il retroterra vitale si sfalda lentamente tra bagliori di Creato e il malinconico reiterarsi di una costante sensazione di perdita. Le note hanno la consistenza di un caliginare affranto nel quale traspare, in barbagli, la luce multiforme della resurrezione al cospetto di Dio. Non ci sono canzoni in Valtari, non c’è nulla, assolutamente nulla, che possa ricordare da vicino le nostre abituali percezioni musicali. L’esile trama melodica delle composizioni emerge rarefatta, sfuggente, quasi impalpabile, da un fuorviante labirinto di fruscii, clangori, tramestii, riverberi e note reiterate all’infinito, su cui domina flebile e angelico il falsetto di Jonsi. A voler essere banali, Valtari potrebbe essere accostato a una colonna sonora. Eppure, il paragone regge solo se si travisa la prospettiva, se si cade nell’illusorio tranello a cui induce il trompe l’oeil creato dai Sigur Ros. Questa musica infatti è cinematografica non perché predisposta a commentare immagini, ma in quanto è essa stessa un’ inquadratura, o meglio, un piano sequenza che racconta, nel tempo reale di un ascolto, l’avventura della trascendenza. Disco ostico e quasi inacessibile al ragionamento, Valtari dispiega tutta la sua ossianica bellezza solo se affrontato predisponendo i sensi ad accogliere il fascino insolito di un’esperienza che è soprattutto spirituale, prima ancora che musicale. Solo così sarà possibile smarrirsi nei brumosi recessi di inesplorati soundscapes, lasciarsi trasportare dalle lattiginose acque che cullano i sogni, per poi ritrovarsi ad un passo dal cielo e rifulgere nella luce di una nuova consapevolezza (musicale).
Esiste un luogo comune a proposito della lettura in ragione del quale un buon libro è quello che ti lascia qualcosa, sia essa un’emozione, una riflessione o un pensiero, che poi resteranno per sempre tuoi, cambiandoti inevitabilmente la vita. Di fronte a questa lapalissiana e stringente verità, a me piace ribattere che un buon libro è semmai quello che ti impone un coinvolgimento così totale da portarsi via un pezzo di te, come succede per quelle storie d’amore che restano eterne solo perché ti svuotano l’anima. Il paragone può sembrare ozioso, ma è l’unico che mi viene in mente quando devo descrivere la musica dei Sigur Ros. Per amare la quale, non è sufficiente predisporsi a ricevere, ma occorre piuttosto prepararsi, anima e corpo, ad accettare un livello di coinvolgimento emotivo più alto, quasi fosse una sorta di trascendente dedizione, una totalizzante deriva in cui il sentire viene spinto fino ai limiti del parossismo. Quando nel 2008 uscì Meo Suo I Eyrum Vio Spilum Endalaust, ultimo album in studio prima di quello di cui sto scrivendo, il percorso intrapreso dalla band islandese sembra avere avuto una svolta: c’era un tentativo di portare i suoni a un livello più terreno e di dare alle composizioni il volto convenzionale della canzone. Quel disco, con un brano, udite udite, cantato addirittura in inglese, pur mantenendo un alto livello qualitativo, era tuttavia un lavoro volto a universalizzare un linguaggio musicale fino ad allora comprensibile solo a pochi. Se da un lato, l’obiettivo venne raggiunto ( il relativo tour ebbe un incredibile successo di pubblico ), dall’altro, il caleidoscopio di suggestioni offerto da dischi come ( ) e Von veniva parzialmente ad affievolirsi, lasciando un po’ d’amaro in bocca ai fans della prima ora. Il taglio onirico e cupo del successivo live ( il dvd/cd Inni, del 2011 ) riportava alla luce ( invero assai diafana ) le sonorità di una musica figlia di una ragionata istintività ma incapace tuttavia di assuefarsi ai calcoli matematici dello star system e della commercializzazione. L’attesa per questo Valtari, pertanto, era accompagnata dal dubbio su quale avrebbe potuto essere la strada intrapresa dal gruppo capitanato da Jonsi ed era resa ancora più febbrile dalle insistenti voci che circolavano da tempo a proposito dell’abbandono della band da parte del suo leader. Tuttavia, è sufficiente una canzone, Eg Anda, il brano che apre il cd, perché ogni dubbio, ogni timore, venga fugato. Valtari suona Sigur Ros, dannatamente Sigur Ros, tanto da richiamare alla mente l’ostica astrattezza di Agaetis Byrjum e del già citato Von. Solennemente spirituali e cineree, le otto tracce del disco hanno l’incedere di una messa da requiem, si dipanano nell’intreccio aggrovigliato di visioni estatiche e ansiogeni tormenti. Cronaca di un exitus, Valtari fonde musica sacra, ambient e rock in un flutturare di note che stazionano nel limbo a metà strada fra realtà e dimensione ultraterrena. L’anima abbandona il corpo ma ancora non evapora del tutto e, proiettato verso l’aldilà, lo spirito resta sospeso in un'amniotica indeterminatezza in cui percepisce suoni ed evoca ricordi in nostalgici flash back. La musica traccia il percorso dolente attraverso il quale il retroterra vitale si sfalda lentamente tra bagliori di Creato e il malinconico reiterarsi di una costante sensazione di perdita. Le note hanno la consistenza di un caliginare affranto nel quale traspare, in barbagli, la luce multiforme della resurrezione al cospetto di Dio. Non ci sono canzoni in Valtari, non c’è nulla, assolutamente nulla, che possa ricordare da vicino le nostre abituali percezioni musicali. L’esile trama melodica delle composizioni emerge rarefatta, sfuggente, quasi impalpabile, da un fuorviante labirinto di fruscii, clangori, tramestii, riverberi e note reiterate all’infinito, su cui domina flebile e angelico il falsetto di Jonsi. A voler essere banali, Valtari potrebbe essere accostato a una colonna sonora. Eppure, il paragone regge solo se si travisa la prospettiva, se si cade nell’illusorio tranello a cui induce il trompe l’oeil creato dai Sigur Ros. Questa musica infatti è cinematografica non perché predisposta a commentare immagini, ma in quanto è essa stessa un’ inquadratura, o meglio, un piano sequenza che racconta, nel tempo reale di un ascolto, l’avventura della trascendenza. Disco ostico e quasi inacessibile al ragionamento, Valtari dispiega tutta la sua ossianica bellezza solo se affrontato predisponendo i sensi ad accogliere il fascino insolito di un’esperienza che è soprattutto spirituale, prima ancora che musicale. Solo così sarà possibile smarrirsi nei brumosi recessi di inesplorati soundscapes, lasciarsi trasportare dalle lattiginose acque che cullano i sogni, per poi ritrovarsi ad un passo dal cielo e rifulgere nella luce di una nuova consapevolezza (musicale).
VOTO : 8
Blackswan, sabato 21/04/2012
15 commenti:
Eh però a me piacciono. Certo, se non facessi confusione tra ( ) e Inni sarebbe meglio :)
Non vedo l'ora di ascoltare Valtari, perché questa canzone è bellissima, e ho già immaginato in quali momenti malinconici potrei ascoltarla, perché le tue parole sembrano astratte, invece hanno descritto anche le persone, la stanza, l'evento triste, il momento dell'abbandono, e la rinascita :)
ma...io non li ho mai capiti..il cantante mi sembra una balena spiaggiata:)
Concordo sia col voto (anche se questo che proponi oggi non è per me neanche lontanamente il loro pezzo migliore) che con l'analisi: i Sigur Ros sono stati per me una (recente) scoperta sublime. Quando vedo gli angeli bianchi e down di Svefn-G-Englar mi commuovo fino alle lacrime.
Bellissima anche la tua riflessione sui libri: un grande romanzo ti prende l'anima e la fa volare via, non ti lascia pallosi insegnamentini!
La mia è una note stonata.
L'ho ascoltato, forse non tante volte ma, pur amandoli molto, il disco non mi ha particolarmente colpito, niente che non abbia già sentito, insomma un disco un po' stantio... ma forse mi sbaglio :)
La mia è una note stonata.
L'ho ascoltato, forse non tante volte ma, pur amandoli molto, il disco non mi ha particolarmente colpito, niente che non abbia già sentito, insomma un disco un po' stantio... ma forse mi sbaglio :)
Musica fatta di nulla, quel nulla che ti riporta alla condizione originaria, quella che ti dà pace.
Li ho scoperti da qualche mese.
Bellissimi i video dei loro concerti all'aperto, in Islanda.
"è essa stessa un’ inquadratura, o meglio, un piano sequenza che racconta" : verissimo!
grandissimi sigur ros, però questo nuovo disco dopo vari ascolti mi sembra parecchio lontano dai vertici dei loro passati capolavori.
di notevole c'è la terza traccia varuo, il resto è un buon sottofondo ma poco più...
Ti accompagna emotivamente,ti segue come la tua coscienza, a volte è un velo sottile tra te e quello che stai osservando, un urlo, una lama che taglia il tuo pensiero..questa e tante altre cose...Sopratutto riflessione.
il commento precedente era mio, per ora non volto, ne' nome, nè accesso ai miei blog..
Mr. Hyde
" laciarsi trasportare dalle lattiginose acque che cullano i sogni..." ho sentito molto questa dimensione onirica, da
pre-sonno, quando le palpebre diventano pesanti ed i pensieri allentano, sfumandosi e addolcendosi... molto intensi...
@ Elle : sapevo ti sarebbe piaciuto e sono certo che condivideremo le medesime suggestioni.
@ face : Nooooooooo! Una balena spiaggiata ??? cosa devono sentire le mie povere orecchie ! :))
@ Zio : Grazie davvero. La canzone è attualmente l'unica in circolazione sul web ( il disco uscirà il 28 maggio ).Io la trovo molto evocativa, ma nel disco c'è effettivamente di meglio.
@ Silvano : La mia è solo un'opinione e probabilmente sono io a sbagliarmi.Ma dopo ripetuti ascolti,Mi è sembrato davvero ottimo.
@ Giacy.nta : il dvd che hai citato è uno splendore.Io lo guardo spesso e ritrovo una certa pace interiore.
@ Marco : io lo trovo ottimo, ma mi sbaglierò.Ho provato svariati ascolti,in cuffia, sotto la pioggia e alla luce del sole, e ho provato svariate suggestioni, tanto da ritenerlo la cosa migliore dai tempi di ().
@ Mr Hyde : mannaggia ! E che è suggesso.Grazie comunque per il contributo,mon amì.Spero di rivedere presto il tuo volto :)
@ S : ho cercato di mettere in parole le sensazioni che ho sentito e fa piacere condividerle :)
Un post splendido..ancor prima di far partire il brano, me lo hai fatto ascoltare con le tue parole, e devo dire che il voto ci sta tutto..che delicatezza. E' un brano che invita alla riflessione, all'ascolto interiore..grazie per questo splendido regalo.
Quanto ai luoghi comuni sui libri, la penso come te..ci sono stati libri che mi hanno risucchiata, e che mi hanno fatta piangere e alla fine, mi sono sentita come svuotata..con la sensazione di aver perso e contemporaneamente ritrovato qualcosa..buon week end
Sarà ma a me non dicono nulla; ho provato ad ascoltarli, ma non sono mai riuscito a finire un loro disco
Sarà meglio - visti anche i commenti - che vada ad approfondire!
Sono totalmente d'accordo.
Non ho resistito e me lo sono procurato "di sgamo".
E' un disco pazzesco, mistico.
Non vedo l'ora che sia il 2 settembre per vedermeli dal vivo.
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