Ecco due notiziole estive di quelle che ti fanno venire voglia di andare a vivere altrove.
In Giamaica, a Los Angeles, anche su Urano, ma via di qui.
La prima riguarda Matteo Armellini, lo sfortunato operaio morto durante il montaggio del palco di Laura Pausini.
L'Inail eroga alla famiglia un assegno di € 1936,80 a titolo di anticipazione spese funerarie, ma i vertici dell'Istituto precisano fin d'ora che la somma complessiva non sarà di molto superiore.
Il poco tempo trascorso dall'assunzione e il modesto livello della paga non permettono di erogare di più.
Non permettono, capite?
Ed infatti si è subito attivata la solidarietà privata, cui pare si sia aggregata la stessa Pausini, per raccogliere fondi per la famiglia.
Che è un bel gesto, per carità, ma che non muta i termini scandalosi della questione di fondo, e cioè che in Italia nel terzo millennio la vita di un uomo di 32 anni che muore mentre lavora vale, per qualcuno, meno di 2000 Euro.
E pensare che il povero Matteo, in fondo, era pure un privilegiato.
Era italiano, lavorava nel suo paese, era pur sempre assunto ed era relativamente giovane, perchè 32 anni sono pochi in un luogo in cui gente di 40 anni è costretta a rimanere con i genitori perchè non c'è denaro e non c'è lavoro.
E tuttavia resta il dato, stridente nella sua fredda dimensione numerica: un lavoratore morto = 1936 Euro.
Se poco può fare l'Inail, poco potrà anche l'Inps, essendo la base la medesima e cioè la situazione dei contributi versati.
C'è da sperare che la società per cui Matteo lavorava avesse almeno stipulato privatamente una polizza in favore delle famiglie dei suoi uomini, altrimenti si tratterebbe di una morte senza controvalore economico, come quando capita di buttare via un vuoto a perdere.
Ma per i suoi cari, per i genitori, per la sua compagna se ne aveva una, Matteo non era un vuoto a perdere.
Era una persona, con una sacrosanta aspettativa di vita di almeno altri quarant'anni, e questo prescinde dal suo reddito e dalla sua situazione contributiva.
Se mai si arriverà a stornare denaro dalla irragionevole condizione di privilegio del ceto politico e dei manager pubblici delle mie balle, bene sarebbe destinarne almeno un po' a situazioni come queste.
La seconda notizia riguarda invece l'ennesima top performance di Sergio Marchionne.
L'iperliberista che detta le sue condizioni per non chiudere gli stabilimenti, e per continuare a produrre in Italia, perchè l'intrapresa è padrona ed il profitto è sacro, si è improvvisamente accorto che Volkswagen pratica una politica di sconti tale da mettere la Fiat fuori mercato.
E si accorge che VW ci riesce perchè quello che sconta in Europa lo recupera abbondantemente in Asia, dove il lavoro costa meno e dove lei (VW, ovviamente) è arrivata per prima molto tempo fa e vende ora un casino di auto.
E allora, dice Sergione, se continua così diventa un bagno di sangue, ed è inutile mettere in cantiere nuovi modelli, intervenga l'Europa per dio!
Al che i vertici di VW, per la verità molto composti, limitano la loro replica alla richiesta di dimissioni di Marchionne dalla carica di presidente dell'ACEA, l'associazione europea dei costruttori di auto, per evidente sopravvenuta incompatibilità.
Sergio, io non ti voglio male come persona, magari dal vivo sei pure simpatico, però stavolta l'hai fatta fuori dal vaso.
In Cina ci potresti andare anche tu, ma se ci vai i cinesi non comprano le tue macchine.
Il gruppo VW (che comprende anche Audi, Skoda, Seat, Porsche e Lamborghini) è forte anche sulle vetture medio-grandi e grandi, che tu non produci.
Una Fiat grande non esiste, la povera Alfa viaggia ancora oggi sulla 166 che è un'auto di vent'anni fa e per Lancia non hai trovato di meglio che prendere una Chrisler, già orrenda di suo, e metterle su il marchio Lancia.
Le VW piccole e medio-piccole, a parità di prezzo, sono migliori delle Fiat.
Ma soprattutto, gli operai tedeschi sono pagati meglio dei loro colleghi italiani.
E com'è questo prodigio, Sergio?
Forse c'entra qualcosa il fatto che in Germania, anzichè smantellare lo stato sociale ed i sindacati, si cerca di remare tutti insieme nella stessa direzione?
Magari c'entra il fatto che in Germania i rappresentanti del sindacato sono coinvolti nella gestione dell'azienda, senza che la proprietà se ne senta defraudata?
E sarà per questo che così facendo si riesce a fare ricerca, qualità ed innovazione, mentre il giudice del lavoro rimane quasi inoperoso rispetto al nostro delirante livello di contenzioso e un lavoratore può coltivare una ragionevole speranza nel futuro suo e della sua famiglia?
Pensaci Sergione, tra un giro in barca e una sgomma col ferrarino.
E se dopo averci pensato resterai convinto che invece la colpa di tutto sia sempre della Fiom-Cgil, beh, pazienza, l'imprenditore sei tu, no?