A volte mi
viene da pensare quanto diverso (e sicuramente meno
soddisfaciente) sarebbe stato il mio percorso musicale se
non fossi cresciuto (ormai sono trent'anni) ascoltando le canzoni
di Neil Young. Quello per il rocker canadese è sempre stato amore vero : di
lui ho preso tutto in blocco, i dischi favolosi e quelli pessimi, l'epica della
sua chitarra essenziale e scorbutica, l'approcio verboso alla
cavalcata elettrica e le fregole di uno sperimentalismo dai risultati
talvolta grotteschi (Trans e Everybody's Rockin'). Jonathan Demme, regista noto ai più per Il Silenzio
Degli Innocenti e Philadelphia, deve pensarla più o meno come il sottoscritto,
dal momento che ha dedicato gli ultimi sei anni a raccontare la vita di Young
attraverso un documentario diviso in tre parti (Neil Young: Heart
of Gold del 2006 e Neil Young Trunk Show del 2009), di cui Journeys è l'ultimo
(?) capitolo. A metà tra road-movie e vero e proprio live, Journeys si distacca
completamente dai due episodi precedenti per un'estetica essenziale che dribbla
ogni connotato agiografico. Demme cerca l'uomo più che la rockstar, scava
nell'intimo e nei ricordi e racconta un Neil Young molto lontano dalla
grandeur di Heart of Gold.
Ne scaturisce un ritratto vero come la vita, in cui l'approcio colloquiale durante il viaggio in macchina che porta Young fino alla Massey Hall di Toronto (già scenario di un leggendario concerto del 1971), e l'uso insistente di primissimi piani, rendono la pellicola un unicum rispetto ai soliti, e più convenzionali, film musicali. Non mancano, tuttavia, le canzoni, visto che parte del documentario riprende il chitarrista dal vivo durante un concerto tratto dalla tournèe di La Noise (2010). Musica e immagini vivono in perfetta simbiosi : tanto asciutta è la regia di Demme, tanto i brani sono proposti in una veste adamitica, nudi e crudi, gli arrangiamenti ridotti all'osso, l'essenza enucleata. Il solo Neil Young e le sue chitarre, acustica ed elettrica, per una scaletta composta da molte canzoni tratte dal citato La Noise, un paio di inediti, e alcuni grandi classici del repertorio del canadese, fra cui una rabbiosa versione di Ohio, in cui il regista indugia sul ricordo delle vittime della Kent State University. In attesa di leggere l'autobiografia del rocker, in uscita in questi giorni nelle librerie italiane, Journey è una chicca imperdibile per quelli, come me, cresciuti a pane e zio Neil.
Blackswan, martedì 29/01/2013
9 commenti:
Fondamentale anche per la mia formazione.
Come te ci sono cresciuto anch'io a pane (cioè chitarra) e zio Neil. Negli anni '80 l'ho trascurato, per poi riavvicinarmi da "Mirror Ball" in poi.
Black,sapessi quanti pomeriggi a far girare i 33 dello "zio Neil" & " company".Se ci ripenso sembra che stavamo a fare " niente" invece stavamo a fare " tutto "...:)
si parta dal concetto che tutto è soggettivo, comunque nel caso di Neil Young è improprio parlare di dischi pessimi. Io ad esempio adoro un disco che dai più è considerato una schifezza. Quel "Re-ac-tor" composto da piccoli gioielli, che anticipò certo metal. Oppure considero meraviglioso "Everybody's rocking", del quale l'autore dell'articolo ha tutt'altra idea. So di gente che ama visceralmente un disco per me il peggiore, "This note for you". E qualcuno riesce a trovare denso un disco blando come "Landing on water". I ragazzi considerano Young datato, salvo poi fargli ascoltare il sacro trio; "Ragged Glory, Mirror ball e Broken Arrow". Dopodichè gli si illuminano gli occhi e nn lo abbandonano più. Con tutto ciò intendo dire che Young è un genio assoluto, e semmai a noi comuni mortali nn piacesse qualcosa di suo, dobbiamo essere pervasi dal dubbio che il limite sia in noi e nn nella sua musica. Un caro saluto
Parlare a te di Neil Young credo sia come spiegare a Giotto il modo migliore per fare un cerchio a mano libera... Per me Young è "solo" uno dei tasselli musicali che hanno accompagnato e accompagnano la mia vita, pur con la piena coscienza del suo talento e della sua bravura. Forse per questo ne ho sempre avuto una percezione "umana". Non mi sorprende, quindi, unfilm impostato in questo modo, anzi mi solletica la curiositá.
L'autobiografia della rockstar la lascio volentieri a te: sará sicuramente più intetessante leggerne da queste tue pagine :-)
@ Lucien : Io ho comprato anche tutti i dischi degli anni '80, sebbene in quel decennio il canadese non ci abbia regalato grandi cose ( salvo Hawks & Doves e l'eccellente Freedom).Di certi artisti (vedi anche il boss) ho sempre acquistato tutto a prescindere.E' un pò come pagare il canone Rai: ti senti in obbligo di farlo anche se non capisci perchè.:)
@ Badit : Bei tempi. Ascoltare musica era un'attività culturale. Altro che sottofondo ! Stavi lì seduto, ascoltavi e pensavi.E, senza nemmeno accorgertene, diventavi grande. :)
@ Mio :Ciao Mio. Benvenuto e grazie per il commento articolato. Come ho premesso nel post, io amo visceralmente Young e ho accettato in blocco il suo percorso artistico. Come ben dici, l'arte vive soprattutto nella soggettività del gusto: una canzone,un libro,una foto,un dipinto parlano al nostro bagaglio di esperienza, al nostro vissuto emotivo,alle nostre conoscenze. Io, ad esempio, adoro On the Beach e trovo meno riuscito Harvest ( credo per quegli arrangiamenti un pò zuccherini che mi lasciano un senso di appiccicoso nelle orecchie).Ma, a prescindere da cosa mi piaccia, ho sempre l'impressione di ascoltare due grandi dischi, diversi fra loro,ma egualmente ispirati. In questo senso, credo che alla fine, oltre alla soggettività, emerga anche un criterio oggettivo, quanto meno circoscritto all'opera del musicista. Fermo restando che certi dischi possano anche piacerci (non è certo una colpa), Trans o Everybody's Rockin' o Landing On Water suonano decisamente scadenti rispetto all'apice del canadese.Come se sperimentare in generi che non gli appartenevano fosse un tentativo maldestro di uscire da una crisi di ispirazione. Come se, finito nelle sabbie mobili di un calo di creatività, quel muoversi convulso per liberarsi dal pericolo ( 9 dischi più un Ep in un decennio), lo affondasse ulteriormente nel pantano. Detto ciò, sul fatto che Young sia un genio assoluto mi trovi perfettamente d'accordo.E concordo anche sul fatto che i limiti siano prevalentemente nelle orecchie di chi ascolta, quelle del sottoscritto in primis.
Ai prossimi ascolti.Ciao :)
@ Irriverent : e comunque me la cavo bene anche a disegnare cerchi a mano libera :)
Leggendo questo post, traspare tutto il tuo amore per questo grandissimo artista. Un amore a prescindere. Ci sono artisti che ci entrano dentro, che riescono a trasmetterci emozioni vere, che ci accompagnano anno dopo anno per un lunghissimo periodo della nostra vita, o per tutta la nostra vita..artisti ai quali riusciamo a "perdonare" anche lavori meno "belli". Detto questo, e' fuori discussione che Young sia un grande davvero. Interessante il taglio dato a questo film..interessante conoscere l'uomo che si cela dietro la figura pubblica...anzi conoscere meglio l'uomo, a mio avviso, aiuta anche a comprendere meglio il senso della sua arte.
Buona serata.
Del documentario devo aver letto qualcosa, così come qualcosa della mia passione per Young qui devo aver già lasciato detto.
Non l'ho mai amato incondizionatamente , ma penso resti una pietra miliare della musica.
Mi intriga molto il suo carattere e la sua forza enorme di volontà davanti alle difficoltà che ha incontrato nel suo lungo percorso, come quelle fisiche.
Per gli amatori , da non perdere!
Grazie come sempre Nick..un grande abbraccio!
Sentire la sua voce è per me....melodia pura!
Posta un commento