Nel 1969, a Los
Angeles, nella San Fernando Valley, apre il Sound City, un piccolo studio di
registrazione che diventa meta di pellegrinaggio della meglio gioventù musicale
di quegli anni. Il posto, a sentire le storie di chi vi ha messo piede, è un
buco puzzolente e umido. Eppure, gli artisti fanno la fila per registrare lì
dentro, perchè i proprietari vi hanno installato un banco di registrazione
all'avanguardia, una console Neve 8028 che è garanzia di precisione e
morbidezza. Lì dentro, negli anni '70, Neil Young ci registra After The Gold
Rush e i Fleetwood Mac il loro capolavoro, Rumours. Ma è soprattutto dopo gli
anni '80, quando l'avvento dell'elettronica produce un invasivo appiattimento
dei suoni, che i musicisti di razza sgomitano per registrare al Sound City : i guru
Johnny Cash e Ry Cooder, ma anche gli alfieri dei nuovi movimenti, i Queen Of
Stone Age (stoner), gli A Perfect Circle (post metal), i Rage Against The
Machine (nu metal). Nel 1991, in quel piccolo angolo maleodorante di Los
Angeles, grazie a un'intuizione del produttore Butch Vig, ci approdano
anche i Nirvana che registrano il disco della leggenda, Nevermind. Quando nel
2011 il Sound City chiude i battenti, David Grohl non si dimentica
dell'esperienza vissuta, acquista la mitica console e la porta nel suo
studio, il 606. E siccome l'ex batterista dei Nirvana non è solo il fratello più
scemo di Kurt Cobain (cos'altro mai dovrà fare ancora quest'uomo per scrollarsi
di dosso l'ingombrante passato?), se ne esce con un'idea davvero niente male :
restituire il favore a quel banco di registrazione, omaggiandolo con
un documentario e con una colonna sonora originale suonata dai Sound
City Players, band composta per l'occasione da alcuni degli artisti che si sono
avvalsi dei servigi della Neve 8028. Il risultato è un buon documentario e un
ottimo disco, zeppo di canzoni che starebbero in piedi a prescindere e che in
alcuni casi si rivelano gioiellini di notevole caratura. E' il caso di You Can't
Fix This, la migliore del lotto, che gode del contributo vocale di
un'inquietante (ma quando mai lo è stata veramente ?) Stevie Nicks, o Cut
Me Some Slack, in cui sir Paul Mc Cartney si abbassa di trent'anni l'età
anagrafica per dimostrare a Grohl, Novoselic e Smear che Helter Skelter è la
madre di tutte le canzoni del loro repertorio. Un disco intenso
e godibilissimo in cui le diverse esperienze dei musicisti coinvolti
confluiscono in una miscela eccitante di power rock, punk, garage, grunge e
stoner. Quasi un vademecum per chi pensa che gli anni '90 siano stati l'ultima
grande stagione musicale della storia.
VOTO :
7
Blackswan, venerdì 26/04/2013
9 commenti:
Una enciclopedia vivente del Rock!
La TREBLACK:)))
Concordo sul pezzo migliore quell
oa cantato da Stevie Nicks, per il resto un po' una palla, per miei gusti
Ah, questo è proprio bello!
Thanksss
@ Badit :facciamo pure un bigino :)
@ Euterpe : a me non dispiace affatto. certo, il pezzo con la Nicks è di un altro pianeta.
@ Evil : de nada :)
Queste storie hanno un loro grande fascino.Il mondo dei supporti magnetici, come la 'bobina' che era il master da cui si sarebbe ricavato l'album, soppiantato dagli asettici studi in cui tutto è digitalizzato. Meno male che la buona musica rimane come questo bellissimo brano della inossidabile Stevie!.(Mi piace questa sua voce un po' rauca)
@ Mr Hyde : Era davvero un altro mondo e quei suoni è importante che ci sia ancora chi cerca di custodirli. Stevie qui è al top !
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