Per poter gestire e dare un minimo di credibilità a un blog
prevalentemente musicale come questo, cerco di ascoltare di tutto, a
prescindere dai miei gusti. E soprattutto, cerco di essere obiettivo, raccontando
la musica, magari con trasporto, ma evitando, nei limiti del possibile, di
schierarmi e sposare aprioristicamente delle tesi. Non è certo facile, e
infatti, a volte ci riesco, altre un po’ meno. Capirete dunque il casino quando
finisce nel lettore un cd come questo dei Dawes, che si adatta alla perfezione
al mio sentire musicale (almeno quella parte che non prevede la presenza di una
chitarra elettrica arrabbiata) e che mi piace così tanto da non riuscire a
smettere di ascoltarlo nemmeno quando dormo. Loro, i Dawes, nascono nel 2009 a
Los Angeles (il particolare non è irrilevante) e vengono scoperti e lanciati
nello show biz dal cantante e produttore Jonathan Wilson (altro particolare non
irrilevante). Se a leggere le brevi indicazioni testè riportate vi sono venuti
subito in mente sia Laurel Canyon che Gentle Spirit (splendido disco di Wilson
del 2011) probabilmente avrete già capito di che genere di musica stiamo
parlando. Stories Don’t End è infatti un disco di west coast, inciso fuori
tempo massimo. Aggiornato, modernizzato quanto volete, ma sempre di west coast
si tratta. Probabilmente, ai più scafati tra voi, basterebbe anche un ascolto
distratto per cogliere nelle canzoni dei Dawes echi di quei gloriosi anni ’70 :
CSN&Y, Jackson Browne, Eagles, James Taylor e Graham Parsons. Eppure questi
quattro ragazzi (Taylor Goldsmith alla voce e alla chitarra, suo fratello
Griffin alla batteria, Wylie Weber al basso e Alex Casnoff alla chitarra ) non
sono degli scialbi replicanti. Al terzo disco in studio, possono permettersi le
citazioni perché hanno un sound ben riconoscibile e strutturato, si muovono su
un percorso conosciuto, ma evitano la main street, preferendo invece un
itinerario personalizzato, meno agevole, certo, ma proprio per questo lontano
dai più scontati luoghi comuni. Come dicevo, le dodici canzoni di Stories Don’t
End raccontano l’epica della west coast, quegli anni fantastici in cui Crosby,
Stills e Nash passavano le serate a casa di Joni Mitchell a tracciare le
coordinate di un nuovo suono. Tuttavia, i Dawes stupiscono sia per la
padronanza degli arrangiamenti, in perfetto equilibrio fra suono vintage e alternative
moderno, sia per il gusto nel cesellare melodie, in cui la tradizione del
country rock americano è ripulita dalla polvere e declinata con morbidi accenti
pop soul (merito soprattutto della voce in-cre-di-bi-le di Taylor Goldsmith).
Vorrei poter trovare un difetto alla scaletta del disco, evidenziare qualcosa
di cui parlar male, vestire il ruolo del critico che bacchettando acquisisce
autorevolezza. Ma è davvero impossibile trovare un solo passaggio a vuoto in un
disco così perfettamente riuscito, così ben suonato, equilibrato e omogeneo in
tutte le sue parti, da poter essere definito già un piccolo classico di questa
seconda decade del nuovo millennio (merito soprattutto di un approccio in cui
prevale l’understatment, il basso profilo di chi non deve dimostrare più nulla
a nessuno). Sono talmente belle queste canzoni, che tutte meriterebbero lo
spazio di un piccolo racconto. Eppure basterebbe citare la delicata malinconia
di Something In Common, la sorellina minore di Desperado degli Eagles, il pop
obliquo e caracollante di Just Beneath The Surface, che suona come se gli
Arcade Fire mettessero mano a un pezzo di Jackson Browne, i cromatismi
leggiadri di From A Window Seat, che non avrebbe sfigurato fra Guinnevere e You
Don’t Have To Cry nel primo album dei CS&N, il mid tempo rock dell’esuberante
Most People e il minimalismo soul della superlativa Just My Luck, per rendersi
conto di quante sorprese si celino nei solchi di Stories Don’t End. Un disco
che in assoluto meriterebbe 8 e relativamente ai miei gusti particolari un 10
tondo tondo. Se faccio la media, spero che nessuno ci resti male.
VOTO : 9
Blackswan, sabato 11/05/2013
19 commenti:
Appena preso ;-)
FG : hai fatto un ottimo affare :)
Allora tocca ascoltarlo!
Spero di avere un bella sorpresa come con i Mastersons: uno dei dischi più ascoltati sulla teiera nell'ultimo inverno.
@ Monty : secondo me, merita.Sperando che i nostri gusti siano affini anche questa volta.
@ Lucien : Il fatto che tu abbia apprezzato il disco dei The Mastersons è il fiore all'occhiello di questo blog.Giuro,non scherzo,mi ha fatto un piacere immenso.
Credo sinceramente che anche questo rientrerà fra i tuoi preferiti del 2013.
Fantastico mi piace molto!
Scusa Black, solo per dirti che ho dovuto traslocare.
Nuovo URL http://pincocri.blogspot.com
Mi farebbe piacere se ne prendessi nota.Grazie.
Cristiana
A prescindere che, a parte qualche cantautore italiano e qualche rarissima eccezione, io ho sempre affermato che non esiste più musica, dopo gli anni novanta (si, mi rendo conto di essere leggermente eccessiva, ma sono fatta così) qualcosa nell'incipit del pezzo che hai linkato, ed anche in seguito, mi ricorda tanto la chitarra di Mark Knopfler.
Niente da dire, il brano è molto buono e ben eseguito, ma mi suona di già sentito. E se devo acquistare qualcosa di già sentito, allora preferisco rivolgere la mia attenzione ai vecchi mostri sacri del rock, piuttosto che a giovani che ricalcano vecchie orme. Credo proprio che non sarà nella mia wish list :)
@ Badit : Bella lì ! :)
@ Cri : segnato ! Passo sicuro a followerizzarmi :)
@ Mist : bella randellata ! Però se vale questo principio, la musica popolare finisce nel 1938 con la morte di Robert Johnson.Il resto è tutta una scopiazzatura.
Accidenti, Cigno Nero, non volevo mica randellarti, anche se oggi mi hanno già dato dell'acida in diversi :P
E' che boh... ammetto di essermi limitata solo a quel singolo pezzo che hai linkato, quindi il mio parere è forzatamente superficiale, è buono, indubbiamente buono, ma non mi fa "vibrare". Non so come dirlo, meglio di così. Del resto ho appena bocciato pure il concerto che gli Iron terranno a giugno a Milano. Probabile che oggi sia io poco disponibile, inoltre è un discorso così lungo, da fare qua :)
@ Mist : :) ho dimenticato di mettere il sorriso al mio precedente commento. Tu sei disponibilissima e simpaticissima e per niente acida. Ci stanno le tue critiche e mi fanno piacere.Se no, sai che palle,se tutti la pensassimo nello stesso modo. Io penso che la musica,non è certo una mia scoperta, si divida fra buona musica e cattiva musica. Questo è l'unico metro di giudizio che utilizzo. I gusti possono essere diversi, e questa è la meraviglia del mondo. Pazienza per i Dawes. La prossima volta troverò qualcosa che ti piacerà di più. Besos :)))
@ Mist : PS : a me gli Iron Maiden, fatta eccezione per i primi due dischi,fanno abbastamza cagare :))
Non era semplice far rivivere un certo sound; sembra che ci siano riusciti!:)
Ciao!
Davvero bello il brano, mi sa che scaricherò l'album.
Sugli Iron però secondo me sono belli anche i dischi dopo il secondo...per lo meno fino a seventh son of a seventh son
@ Giacy.nta : direi proprio di si :)
@ Euterpe : Conoscendo ormai un pò i tuoi gusti, sono convinto che il disco ti piacerà moltissimo. Sugli Iron non ne faccio una questione di intrinseco valore, ma solo di gusti personali.:)
I tuoi consigli sono sempre ben accetti caro Black, anche perchè , come hai fatto notare , oltrechè ascoltando di tutto un po' riesci a liberati spesso dei tuoi gusti personali e preferenze, cose che spesso a me manca .
O almno non riesco a non far trapelare le mie più o meno simpatie o antipatie...
Bacio e felice domenica!
Non è certo il tipo di sound che mi trascina. Posso capire il tuo voto alto e so che non ti offendi se non lo condivido (darei un 7 pieno..) ;-)
@ Nella : ci provo ma non sempre ci riesco. Un abbraccio :)
@ Irriverent : ahimè, so che i miei gusti filoamericani sono poco condivisi. Ma questa è ottima musica e va premiata.
Oh, yeah, you are right! :)))
Ah, quel periodo della West Coast, non solo per la musica... ma difficilmente, mi pare, letteratura noir e musica in quegli anni si sono incrociate...
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