Una semplice vacanza a Ostia, con la figlia
Giulia. Doveva essere un momento di relax per l'ispettore Ferraro: qualche
giorno di distensione per cercare di cost uire un nuovo rapporto con quella
ragazzina in piena adolescenza. Durante una nuotata al largo una barca alla
deriva attira la loro attenzione. A bordo un biglietto lascia intendere che
qualcuno ha deciso di porre fine alla sua vita. "Perdono tutti e a tutti chiedo
perdono", c'è scritto. E sotto, "Non fate troppi pettegolezzi". Parole prese in
prestito da Cesare Pavese, che Giulia, lettrice appassionata, riconosce subito.
Una volta chiamati i colleghi di Roma, la faccenda sembrerebbe finita lì per
Ferraro, se non fosse che il suicida ha lasciato un'ex moglie a Milano, e
all'ispettore tocca l'ingrato compito, tornato a casa, di informare la donna. E
così, suo malgrado, in una calda estate milanese, Ferraro si trova coinvolto
insieme alla figlia in un'indagine sul destino di un uomo qualunque, Giovanni
Tolusso, che partito dal nulla era riuscito caparbiamente a costruirsi una vita
dignitosa. Fino a quando, in un'assolata mattina romana, il recapito di una
cartella esattoriale aveva segnato l'inizio della sua fine... Il più kafkiano
dei gialli di Biondillo, il più disperato, il più intimamente legato alla crisi
economica che stiamo vivendo in questi anni difficili, in cui le nostre
illusioni sembrano crollare, una a una, impietose.
Un grande romanzo. Se dovessi esprimere in modo icastico un giudizio su Cronaca Di Un Suicidio, di getto, senza pensarci un secondo, lo definirei così. Non è solo la scrittura di Biondillo che, libro dopo libro, è diventata sempre più raffinata, senza aver perso tuttavia quella scorrevolezza colloquiale e quell'efficacia visiva che gli consente, con pochi tratti, di rendere vivida e palpitante la realtà dei suoi personaggi, quasi si avesse l'impressione di poterli toccare con una mano, come se appartenessero al nostro quotidiano e potessimo incontrarli dietro l'angolo, appena usciti di casa. La grandezza di Cronaca Di Un Suicidio vive anche, e soprattutto, in un'anomalia. L'intreccio narrativo infatti disattende fin da subito le aspettative del lettore, dal momento che l'indagine è solo un pretesto e non c'è un colpevole da scoprire, perchè il morto è un suicida. Anche l'Ispettore Ferraro è relegato a un ruolo (apparentemente) marginale : non è più il poliziotto protagonista a tutto tondo che era stato nel precedente I Materiali del Killer, ma si tiene in disparte e osserva, con gli occhi preoccupati di un padre che guarda con trepidazione al futuro di sua figlia. Ferraro, insomma ha dismesso i panni dello sbirro, non indaga più, cerca semmai di comprendere, si trasforma nella nostra coscienza, incarna il punto di vista morale che osserva la tragedia di un popolo caduto in disgrazia. Protagonista del romanzo è invece la cronaca dei nostri giorni, quella cronaca che leggiamo sulle pagine dei giornali serviti a colazione, insieme a un carico disperato di morte e rovina, insieme al racconto di uomini onesti abbandonati al loro destino e di lestofanti che invece la fanno sempre franca. Una cronaca che fra qualche anno sarà Storia, la Storia di un Paese in cui un uomo perbene, come Tolusso, viene stritolato dagli ingranaggi kafkiani di un sistema che si regge su gabelle, prebende e tangenti, e su una burocrazia stolida e implacabile. La Storia di un popolo incapace di aprire gli occhi e di ribellarsi, di un popolo messo con le spalle al muro e costretto a scegliere la via di fuga fra due uniche alternative: da una parte, l'impunità e il sottefugio, dall'altra, un calvario di stenti e di umiliazoni che conduce, in difesa dell'etica, fino all'atto estremo del suicidio. Un giorno, quando questa cronaca sarà diventata Storia, torneremo a leggere il romanzo di Biondillo e capiremo esattamente in cosa si è trasformato oggi il nostro paese: una Spoon River di uomini giusti, come il protagonista del romanzo, uccisi dalla precarietà. Su ogni lapide, lo stesso epitafio: "Gli portarono via ogni cosa. La dignità, soprattutto". Amaro, disilluso e con un finale che spiazza. Un grande romanzo.
Blackswan, giovedì 20/06/2013
Un grande romanzo. Se dovessi esprimere in modo icastico un giudizio su Cronaca Di Un Suicidio, di getto, senza pensarci un secondo, lo definirei così. Non è solo la scrittura di Biondillo che, libro dopo libro, è diventata sempre più raffinata, senza aver perso tuttavia quella scorrevolezza colloquiale e quell'efficacia visiva che gli consente, con pochi tratti, di rendere vivida e palpitante la realtà dei suoi personaggi, quasi si avesse l'impressione di poterli toccare con una mano, come se appartenessero al nostro quotidiano e potessimo incontrarli dietro l'angolo, appena usciti di casa. La grandezza di Cronaca Di Un Suicidio vive anche, e soprattutto, in un'anomalia. L'intreccio narrativo infatti disattende fin da subito le aspettative del lettore, dal momento che l'indagine è solo un pretesto e non c'è un colpevole da scoprire, perchè il morto è un suicida. Anche l'Ispettore Ferraro è relegato a un ruolo (apparentemente) marginale : non è più il poliziotto protagonista a tutto tondo che era stato nel precedente I Materiali del Killer, ma si tiene in disparte e osserva, con gli occhi preoccupati di un padre che guarda con trepidazione al futuro di sua figlia. Ferraro, insomma ha dismesso i panni dello sbirro, non indaga più, cerca semmai di comprendere, si trasforma nella nostra coscienza, incarna il punto di vista morale che osserva la tragedia di un popolo caduto in disgrazia. Protagonista del romanzo è invece la cronaca dei nostri giorni, quella cronaca che leggiamo sulle pagine dei giornali serviti a colazione, insieme a un carico disperato di morte e rovina, insieme al racconto di uomini onesti abbandonati al loro destino e di lestofanti che invece la fanno sempre franca. Una cronaca che fra qualche anno sarà Storia, la Storia di un Paese in cui un uomo perbene, come Tolusso, viene stritolato dagli ingranaggi kafkiani di un sistema che si regge su gabelle, prebende e tangenti, e su una burocrazia stolida e implacabile. La Storia di un popolo incapace di aprire gli occhi e di ribellarsi, di un popolo messo con le spalle al muro e costretto a scegliere la via di fuga fra due uniche alternative: da una parte, l'impunità e il sottefugio, dall'altra, un calvario di stenti e di umiliazoni che conduce, in difesa dell'etica, fino all'atto estremo del suicidio. Un giorno, quando questa cronaca sarà diventata Storia, torneremo a leggere il romanzo di Biondillo e capiremo esattamente in cosa si è trasformato oggi il nostro paese: una Spoon River di uomini giusti, come il protagonista del romanzo, uccisi dalla precarietà. Su ogni lapide, lo stesso epitafio: "Gli portarono via ogni cosa. La dignità, soprattutto". Amaro, disilluso e con un finale che spiazza. Un grande romanzo.
Blackswan, giovedì 20/06/2013
5 commenti:
lo terrò presente per le mie future letture..grazie per il consiglio :)
Grazie.
ottima recensione, stimola la curiosità.
Interessante :)
me lo segno
grazie
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