Quando
si ascoltano centinaia di dischi all’anno, ci si rende conto che, a prescindere
dai propri gusti, tra la tanta musica che scorre sotto i ponti, quella che
rimane davvero, quella che resta nel tempo, è davvero poca. Dieci, forse
quindici cd in dodici mesi, e tutto il resto, anche se al momento ci era
piaciuto, scompare nell’oblio dove fluttuano tutte le canzoni prescindibili.
American Ride di Willie Nile è proprio uno di quei dischi che vivranno la
propria gloria anche dopo il 2013. Perché è bello, perché è emozionante, perché
soprattutto è composto da un filotto di canzoni di una qualità elevatissima,
molte delle quali, sono pronto a scommetterci, in poco tempo diventeranno
classici del rock targato America. Sembra strano, per chi non conosce la carriera del
chitarrista originario di Buffalo, che Nile arrivi ai suoi vertici espressivi alla veneranda età di
sessantacinque anni e a trentatre anni dal suo omonimo e acclamatissimo
esordio datato 1980. Se si pensa, però, che il buon Willie, per dieci anni,
dall’81 al ’91, è rimasto completamente inattivo per una serie di beghe con la sua
casa discografica, forse si riuscirà a comprendere quanto arretrato di
creatività questo incredibile musicista porti nel proprio bagaglio artistico.
Un strada in salita, quella di Nile, dall’esordio fulminante, interrotto dal
decennale esilio dalle scene, fino alla resurrezione degli anni ’90 e alla
definitiva consacrazione negli anni zero, con un disco superbo, Streets Of New
York (2006), che lo ha collocato definitivamente nell’Olimpo dei più grandi di
sempre. Con American Ride, Nile centra un nuovo capolavoro, quasi un trampolino
di lancio per un futuro che, se rispetterà anche solo in parte i contenuti di
quest’ultima fatica, sarà a dir poco pirotecnico. Non è difficile trovare una
definizione per spiegare la musica del nostro piccolo eroe newyorkese : in Nile
vive un’idea di rock umorale, sincero, energico, fatto di slanci e di un’
attitudine a stare sul palco e quindi a suonare ogni canzone, anche in studio,
come se fosse live. Mi piacerebbe parlare, e credo di non andare troppo lontano
dal vero, di un musicista che ha trovato la giusta formula alchemica per
fondere magnificamente le sciabolate punk della prima Patti Smith o dei Clash coi
palpiti da heartland rock di springsteeniana memoria. Basta ascoltare l’uno –
due da ko delle iniziali This Is Our Time e Life On Bleecker Street o l’intensa
If I Ever See The Light per rendersene conto. Eppure Nile, è un rocker che sa
maneggiare altrettanto bene il passo lento della ballata, tanto da riuscire a
inanellare due autentici gioielli come l’on the road della title track,
scritta a quattro mani con Mike Peters (ex-Alarm), e la struggente dedica d’amore
di She’s Got My Heart, una canzone capace di gareggiare per bellezza con le più
struggenti melancholy songs di Springsteen. Verrebbe voglia di raccontare ogni singolo brano di
questo straordinario disco, a partire dal divertissement rockabilly di Say Hey e dallo swing pianistico e solare di Sunrise In New York City, fino all’epica rock
di Holy War e al folk della conclusiva There’s No Place Like Home, omaggio alle
radici della tradizione musicale a stelle e strisce. Ma invece di farvi perdere
tempo con troppe e inutili parole, vi invito semplicemente a comprare il disco.
Lo ascolterete allo sfinimento, sono pronto a scommetterci una birra. Perché
American Ride è uno di quei pochi cd di questo 2013 che resisterà al logorio
del tempo.
VOTO
: 9
Blackswan, domenica 16/06/2013
6 commenti:
un picolo grande rocker con le palle.
Swing e Rockabilly sono due parole magiche...
per me è già un piccolo "classico"
Mi pare proprio il mio genere: vedo di recuperarlo!
La canzone che hai postato mi piace senza dubbio.Dovrei ascoltare l'intero album per valutare, ma stando solo a questo primo brano non trovo molto coerente il discorso sull'imprenscindibilità. Il pezzo è come migliaia che sono stati incisi negli ultimi 40 anni, di originale non ha nulla.Il fatto poi che a me a te ed ad altri possa piacere molto non deve allontanare da un'analisi oggettiva.
Mi consola alquanto da profano sapere che anche un intenditore appassionato come te circoscrive il novero delle canzoni preferite!
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