Chiusa l'ultima pagina del libro, mi rendo conto di
quanta verità vi fosse nel monologo finale di Woody Allen in Manhattan, quando,
sdraiato sul divano e microfono alla mano, cita L'Educazione Sentimentale
di Flaubert come uno dei motivi per cui valga la pena vivere. Una citazione non
casuale, visto che vi è uno stretto legame fra la pellicola e il libro:
l'irresolutezza dei due protagonisti, il loro disarmante egocentrismo, un
tessuto etico sfilacciato alla base dei loro ragionamenti e il sostanziale
fallimento di due vite incapaci di coltivare affetti. Forse non ragione di vita,
ma di sicuro ineguagliabile capolavoro (per il sottoscritto meglio anche di
madame Bovary), L'Educazione Sentimentale rappresenta una delle più
intriganti letture di sempre, di quelle che coltivate a vent'anni possono
incidere profondamente sulla formazione di un giovane, cambiandogli
prospettive e aspirazioni. Non un romanzo semplice, però, oggetto tra l’altro di
giudizi controversi oggi come allora (esaltato da Emile Zola, che ne aveva
colto il senso più vero, e demolito dalla critica dominante che non ne capiva
la modernità), e scritto da un Flaubert che, a differenza di ciò che fece
con Madame Bovary, tenta, riuscendoci, di creare "un sistema di relazioni che coinvolge tutti
i piani del testo: dal piano dei personaggi a quello dei fatti, dal piano delle
situazioni individuali a quello degli eventi storici" (cit. dalla
prefazione di Stefano Agosti), il cui risultato è una scrittura "non più lineare ma volumetrica".
Una novità esagerata per il lettore dell'epoca che, probabilmente, faticò a
comprendere gli scarti temporali sui quali si svolgono vicende all'apparenza
scollegate (“una semplice serie di abbozzi” recitava una recensione su una
rivista specializzata del 1869), e la distanza siderale di Flaubert dalla
materia. Con precisione chirurgica, evitando giudizi morali (a parte Frederic
tutti i personaggi del romanzo sono guardati dall'esterno), il grande
romanziere francese disegna il cinico affresco, non solo di un'esistenza,
quella del protagonista Frederic Moreau, ma di un'intera generazione borghese
alle prese coi drammatici rivolgimenti, in particolare del 1848, che cambiarono
il corso della storia di Francia. Se da un lato l'amore di Frederic
rispettivamente per Madame Arnoux, Rosanette e la signora Dambreuse è figlio
della tripartizione fra tendenza all'assoluto/ricerca della voluttà/
aspirazione al potere, cioè tre distinte pulsioni dell'animo umano che
spingono il protagonista verso una serie di (irrisolte) relazioni, dall'altro
il sentimento, come noi comunemente lo intendiamo, ha certo un ruolo
decisivo ma solo come pretesto, come miccia necessaria a scatenare tutta
una serie di avvenimenti (la Storia, il Fato, le decisioni altrui), dai
quali i personaggi del libro vengono
costantemente soverchiati. Sta proprio in questo la modernità di
Flaubert, il cui intento è di un'attualità sconcertante: raccontare e mettere
all’indice il collasso etico di una generazione piegata sul proprio orticello,
incapace di costruire, di progettare, di partecipare fattivamente alla vita
pubblica, di guardare al domani. Incapace soprattutto di empatia e
condivisione. Non c'è una sola azione di Frederic che sia gratuita, che non
riguardi il proprio specifico tornaconto; non c'è una passione che viva fino in
fondo (l'amore, l'attivismo politico, le velleità letterarie), che si
risolva in profondità, che non si disperda al primo refolo di vento come
il calore di un fuoco di paglia. Frederic è un uomo di una mediocrità
desolante, incapace di pietas e veri sentimenti (la morte del figlioletto è
solo un incidente di percorso che non lo distoglie dalle sue trame), che si
muove in un mondo di suoi replicanti, in cui l'ipocrisia, l'ambiguità e
l'indifferenza verso il prossimo scandiscono il ritmo dei giorni. Personaggi
che nonostante la loro inettitudine e fragilità morale, Flaubert
tratteggia meravigliosamente, disegnando, con sguardo cinico, figure femminili
indimenticabili (Madame Arnoux, Rosanette), patetici simulacri d’umanità
(Deslauriers, Madame Vatnaz, de Cicy) e, più in generale, un'intera generazione
borghese (le cui dinamiche Flaubert visse in prima persona durante la stesura
del romanzo) risucchiata nell'abisso della propria vacuità. Uomini per cui
la vita, in definitiva, è solo il ricordo, ormai sbiadito, di una visita a
un bordello: " E' la cosa migliore che abbiamo avuto", dice a
Frederic l’amico Deslauriers, in chiusura di romanzo. E ripensando a tutto
quanto letto prima, non è affatto difficile credergli.
Blackswan, lunedì 25/08/2014
3 commenti:
Bellissima recensione, lessi questo testo alle superiori insieme a Il rosso e il nero di Stendhal, forse le due opere più impegnative che ci fecero leggere all'epoca. Ne serbo il ricordo di una lettura che mi piacque davvero molto anche se ormai i contenuti sono sbiaditi nella mia memoria. Qualche anno fa riacquistai il libro ma ancora non l'ho riletto, da quella prima lettura sono passati ormai almeno vent'anni...
concordo con te, assolutamente anticipatore, delle grandi vacuità di certa borghesia.
@ Firma: uno dei grandi romanzi che mi mancava, che, non so per quale motivo, ho lasciato indietro. Forse meglio così: a diciotto anni non tutti i libri si capiscono.Oggi, invece, mi sembra di esserne venuto a capo.
@ S. : un libro ricco di spunti di riflessione che ben si adattano alla società odierna.
Posta un commento