Quanto spesso si usa impropriamente il termine di
"next big thing" a proposito di un artista o di un gruppo che, lungi
dall'aver dimostrato qualcosa, possiedono un hype sufficiente per salire alla
ribalta delle cronache? Spesso, e spesso a sproposito. Gary Clark Jr.,
chitarrista trentenne proveniente da Austin (Texas) è entrato da tempo nel
tritacarne mediatico che lo ha voluto accostare, in questi ultimi anni, a nomi
del calibro, per citarne qualcuno, di Jimi Hendrix, Ben
Harper e Lenny Kravitz. In realtà, tanto clamore suscitato da Blak
& Blu, full lenght pubblicato nel 2012 e fiondatosi subito alla sesta
piazza di Billboard 200, risultava ben poco giustificato. Se da un lato,
infatti, le doti tecniche del ragazzo apparivano indubbie, dall'altro,
quel primo album prodotto da una major (all'attivo Clark ne ha altri due),
complice anche una produzione sorniona e troppo patinata, vanificava in
parte le aspirazioni compositive del chitarrista. Un disco riuscito a metà,
insomma, tante idee in testa, ma molte confuse: rock, blues, soul, funky e
schegge hip hop, per un minestrone i cui sapori non sempre erano
distinguibili. Attendevamo, quindi, il ritorno sulle scene di Clark, non per
avere conferma di quella che a molti parve una new sensation, ma per vedere se
il ragazzo avesse trovato una sua strada, che gli consentisse di esprimere il
proprio talento chitarristico, senza vendere l'anima a compromessi di
produzione o al facile guiderdone del piazzamento in classifica. Ed ecco la
svolta: non un disco in studio che cercasse di doppiare il successo di Blak
& Blue, ma un doppio live nerboruto, scarno ed essenziale negli
arrangiamenti. Clark torna a fare quello che sa far meglio, e cioè salire su un
palco e sfoderare un repertorio, ripulito da ammiccamenti radio frendly, che
riproduce l'essenza stessa del rock blues. Basta arabeschi e raffinatezze
assortite, ma solo due chitarre ruvide e nerborute (l'altra è quella
dell'ottimo King Zapata) e una quadratissima sezione ritmica.
Gary pesca dal suo passato, riproponendo quattordici canzoni (compresa
qualche cover - superlativa Catfish Blues posta a inizio scaletta) che, in
questa veste disadorna, suonano decisamente meglio, di gran lunga
meglio di prima. Volumi alti, piglio muscolare ma non caciarone,
tanta fantasia (l'assolo su Bright Lights è da orgasmo) e una voce che sa
declinare il rock blues con un seducente accento soul. Uno dei
migliori dischi live in circolazione, se non il migliore.
VOTO: 8
Blackswan, martedì 21/10/2014
1 commento:
Molto bravo! L'unica cosa che suona un pò strana è ascoltare il blues dentro la Casa Bianca, applaudito dal presidente.Sono proprio cambiati i tempi!
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