Johnny Marr non ha bisogno di grandi presentazioni.
Tuttavia, a uso e consumo di chi fosse rimasto indietro di un trentennio, giova
ricordare che l'ormai cinquantunenne mancuniano è stato la chitarra degli
Smiths, precursori di quello che negli anni '90 verrà definito brit pop e una
delle band più eccitanti degli eighties. Separatosi dal fedele sodale Morrissey
(a proposito: forza Steven, non mollare!), Johnny ha dato vita ad
alcuni progetti (Electronic, The Healers), ha militato nelle fila di
Modest Mouse e The The, ma soprattutto è stato considerato per anni un
sessionista di classe, uno di quelli la cui presenza nella line up alza il
livello qualitativo del disco (Talking Heads, Bryan Ferry, Beck,
etc). Insomma, c'è voluto un bel pò di tempo prima che Marr si convincesse
a fare da solo, ma una volta imboccata la strada sembra non avere
più intenzione di fermarsi. A febbraio del 2013, infatti, esordisce in
solitaria con il più che discreto The Messenger, ed è proprio di questi giorni
l'uscita nei negozi del suo secondo full lenght. Diciamolo
subito: Playland è un gran bel disco, di gran lunga più convincente del
precedente, come se il chitarrista, dopo qualche titubanza, avesse
scaldato i motori e fosse partito in quarta. In tal senso l'apertura ruggente
di Back In The Box riflette lo stato di grazia di Marr e forse, addirittura un
nuovo corso. Gli Smiths sembrano infatti essere stati accantonati per
sempre, salvo riaffiorare in qualche episodio isolato (l'ottima This
Tension) e nella voce, finalmente espressiva, di Marr, che paga più di un
debito all'ex compagno di avventure, Morrissey. La scaletta è potente,
elettrica, convinta e convincente, pochi fronzoli e tanta sostanza all'insegna
di un pop rock in bilico fra passato e presente e marchiato
da un suono smaccatamente british, che pesca, senza soluzione di
continuità, tanto dai Verve (Candidate) che dai Kasabian (la già
citata Back In The Box). Il Marr di Playland è un musicista incredibilmente
deciso, pimpante, che abbandona quegli arabeschi policromatrici che
avevano reso leggendaria la sua chitarra e sceglie invece di mostrare i muscoli
con riff essenziali e ficcanti. Anzi, è così convinto dei propri mezzi, da
tirar fuori dal cilindro la cafonissima dance wave di Easy Money, singolo
ruffiano che starebbe d'incanto in un disco dei Franz Ferdinand. Un
Marr che non ti aspetti, insomma, anche se poi il tocco del maestro
e certi echi plumbei di mancuniana memoria sono lì a ricordarci di
chi stiamo scrivendo: un eroe della sei corde, che ha reso migliori gli anni
'80 e che oggi sta vivendo una seconda, eccitantissima, giovinezza.
VOTO: 7,5
Blackswan, sabato 11/10/2014
2 commenti:
Certo, gli Smiths erano un'altra cosa..
@ Mr. Hyde: impossibile non concordare :)
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