Su questo blog abbiamo
parlato spesso, e in termini lusinghieri, di James Maddock, musicista inglese, trasferitosi
a New York da una decina d’anni per sfuggire ai patimenti di una storia d’amore
finita male. Di lui ci è sempre piaciuto un certo romanticismo stradaiolo, che
per alcuni versi lo ha reso affine a personaggi del calibro di Willie Nile o Bruce
Springsteen, e un inusuale lirismo, reso ancora più verace dalla sua voce sabbiosa,
su cui si infrangono gli opposti marosi dei due volti dell’Atlantico. Un pugno
di dischi ben fatti, confezionati con la cura di un artigiano, che si concentra
sui piccoli dettagli per rendere unica la propria opera, e un live, posto quasi
a inizio carriera, per dimostrare come questo cinquantaduenne songwriter si
trovi a proprio agio anche sopra un palco. Green è dunque il quarto full lenght
in studio pubblicato da Maddock nel corso di quattro anni di carriera solista e,
per la prima volta, ci troviamo a prendere atto di una battuta d’arresto, di
una frenata nella crescita di un musicista che, disco dopo disco, stata
creandosi una ormai ben riconoscibile personalità artistica. Per carità, non ci
troviamo ad ascoltare un brutto album: qualche canzone di spessore, il ragazzo,
riesce sempre a pescarla dal suo capiente cilindro (My Old Neighbourhood è un
gioiellino). L’impressione, tuttavia, è che Maddock abbia voluto dare un taglio
eccessivamente pop alla sua musica, plasmando l’innata spontaneità e quella fragile
poetica capace di commuovere alle lacrime, con sovrabbondanti alchimie di
produzione. Così, le delicate melodie che arrivavano dirette al cuore,
bypassando talvolta il ragionamento delle orecchie, ora appaiono convenzionali
pop songs ottime per passaggi radiofonici. Ci lasciano davvero un po’ di amaro
in bocca certi episodi ammiccanti alle charts, ma sciatti nell’ispirazione
(Let’s Get Out Of Here), mentre quando il talento riemerge in tutta la sua istintiva
emotività (il fingerpicking della conclusiva Once there Was A Boy-Part?) non
possiamo che lasciarci sciogliere dalla commozione. In definitiva, Green è un
disco privo di fascino, senza baratri di insipienza, ma troppo ambizioso e
sovrabbondante per competere con le cose migliori di Maddock. Il quale, a
questo punto, dovrebbe scegliere quale taglio dare alla propria carriera: puntare
alla compiacenza radiofonica o continuare a cesellare piccole, irrinunciabili
emozioni.
VOTO: 6
Blackswan, lunedì 05/01/2015
3 commenti:
Un disco assai scarso. C'è di meglio in giro, in tema di cantautori.
@ Bartolo: questo non è gran disco, è vero. A me i precedenti sono però piaciuti molto.
Anche a me, specie il live. Ma questo è una delusione.
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