Quanto dista la Danimarca dall'Arizona ? Non saprei
dirlo di preciso ma, a occhio e croce, sembra davvero una bella
paccata di chilometri. Tuttavia, ascoltando questa ultima fatica della
songwriter e chitarrista danese, Maggie Bjorklund, non si direbbe proprio.
Anzi, dopo poche canzoni, Copenaghen potrebbe apparire agli occhi
dell'ascoltatore più fantasioso quasi un sobborgo di Tucson. Non è un caso
che citi Tucson e non un'altra città del sud ovest degli Stati Uniti, dal
momento che a spalleggiare la bionda, bella e brava chitarrista danese, c'è un
pugno di ospiti molto amati dagli appassionati del genere. Ve ne cito uno,
prima di tutti: vi dicono qualcosa i Calexico? Se siete arrivati a leggere
fino a questo punto della recensione è probabile di si. La line up che
accompagnava la Bjorklund in sala di registrazione per il precedente disco
(Coming Home) era composta niente pò pò di meno che da John Convertino, Joey
Burns e Jesse Valenzuela. In Shaken, torna nuovamente a dar man forte dietro le
pelli proprio Convertino, a riprova che il gruppo di Tucson è qualcosa in
più di una semplice ispirazione per questa ragazza ormai in circolazione sui
palchi di mezzo mondo da quasi quindici anni. A fianco di Convertino,
c'è il vocalist dei Lambchop, Kurt Wagner (splendido nel
duetto di Fro Fro Heart), Barb Hunter al violoncello e soprattutto John
Parish (anche produttore dell'album) alla chitarra. Insomma, un gruppo di
musicisti di altissimo lignaggio, per un disco che parte dalla Danimarca,
transita per l'Inghilterra (oltre a Parish c'è anche l'ex Portishead, Jim Barr,
al basso) e giunge nel bel mezzo di un paesaggio desertico
americano punteggiato di cactus. A capitanare il gruppo c'è lei, la
Bjorklund, favolosa quando si cimenta con la pedal steel (strumento nel
quale eccelle e per cui ha collaborato in passato anche con Jack White),
un pò anonima, invece, quando si cimenta col canto. Il disco, però, a
prescindere da questo evidente difetto, scorre via piacevole, regalandoci
morbide atmosfere da sapore cinematografico, in equilibrio fra western e
psichedelia. La pedal steel spesso in bella evidenza, ricami acustici, trame
delicate, testi introspettivi e autobiografici (Teach Me è dedicata alla
madre della Bjorklund), e qualche episodio che si muove fra soundscapes
vagamente onirici e inquietanti, sono gli ingredienti di un disco di americana
di frontiera, ben suonato, onesto e malinconico al punto giusto.
VOTO: 6.5
Blackswan, giovedì 08/01/2015
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