Basta aprire una a caso delle tante riviste
specializzate, sia cartacee che
web, e puntualissimi, spuntano un articolo o una recensione su
Benjamin Clementine. The new sensation, the next big thing, il fenomeno di
questo 2015 ancora agli albori. Naturalizzato francese, nato a Londra, dove
peraltro vive, pianista, cantante e compositore, Clementine ha al suo
attivo due Ep, di cui si è fatto subito un gran parlare. Difficile che non
fosse così: questo ventiseienne di colore possiede le stigmate della popstar e
tutti i numeri per una luminosa carriera. Presenza scenica importante,
attitudini da mattatore (guardatevi la sua esibizione al Later With Jools
Holland), ottimo pianista di inclinazione classica (completamente autodidatta)
e una discreta cultura che si riverbera in testi influenzati da grandi
scrittori quali William Blake e C.S.Lewis. Soprattutto, Clementine sfoggia
un'incredibile voce da tenore, grande estensione e accenti drammatici, in
grado di ricordare un timbro posto esattamente a metà strada fra quello di
Nina Simone e quello di Antony Hegarthy. E non è solo la voce, ma il modo di
usarla che piace tantissimo, perchè Clementine si cimenta
in interpretazioni capaci di stravolgere le consuete metriche del cantato.
In ciò, è aiutato dalle canzoni, che palesano una scrittura capace di alternare
momenti pop (mi sono venuti in mente Rufus Wainwright e John
Legend) a un grande impianto stilistico che rilegge modernamente il soul e
il r'n'b. Non mancano poi accenni di classica, visto che lo strumento principe
di At Least For Now è il pianoforte e tra le fonti di ispirazione di Clementine
vengono annoverati Erik Satie e Luciano Pavarotti. Fatte le premesse del caso,
è indubbio che quest'opera prima non sia passata inosservata e, per tutti i
motivi suesposti, sia in grado di accendere di interesse coloro che amano
musica di qualità, lontana dai soliti schemi. A voler essere pignoli, però, At
Least For Now non è esente da difetti. Dopo svariati ascolti, ho avuto
infatti la sensazione di trovarmi di fronte a una bellissima donna, i cui
lineamenti acqua e sapone siano stati coperti però da un trucco
troppo abbondante. Come in certi dischi di Antony, l'eccesso di pathos e una
certa sovrabbondanza espressiva finisce per imbolsire il risultato finale,
che sarebbe ottimo, se i suoni e il trasporto emotivo fossero tenuti un pò più
sotto controllo. Ad ogni modo, siamo di fronte a un buon disco, che fa
dell'originalità il suo punto di forza.
VOTO: 7+
Blackswan, mercoledì 04/02/2015
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