C’era molta attesa da
parte degli appassionati di southern rock per l’uscita del nuovo album in
studio dei Blackberry Smoke (il quarto, in dieci anni di carriera). Tanta
aspettativa si era venuta a creare quando, lo scorso anno, il gruppo
proveniente da Atlanta, aveva pubblicato
Leave A Scar, un disco dal vivo così avvincente da indurci a definirlo uno dei
live più belli degli ultimi dieci anni e a paragonare la band capitanata da
Charlie Starr nientepopodimeno che ai Lynyrd Skynyrd. Un successo di pubblico e
critica così evidente da portare i Blackberry Smoke a firmare un contratto con
una major e a farsi produrre da Brendan O’Brien, già al fianco di stelle di
prima grandezza quali Bruce Springsteen, Ac/Dc e Pearl Jam. Holding All The
Roses, almeno nelle intenzioni, è dunque il disco della definitiva affermazione,
un tassello decisivo nella storia del gruppo georgiano, che vede il proprio
nome circolare con sempre maggior insistenza anche fuori dal circuito
nazionale. O Brien, che sa il fatto suo e che la materia la conosce molto bene
(era stato l’ingegnere del suono di Shake Your Money Maker e di Southern
Harmony… dei Black Crowes), si limita semplicemente a scartavetrare un po’ il
suono, lasciando intatto il fascino di composizioni che funzionano dannatamente
bene da anni. La formula resta quindi quella di un southern rock venato di
country e screziato di soul, che nello specifico si arricchisce anche di
qualche piccola concessione radiofonica. Poca cosa, tuttavia, rispetto all’approccio
al suono della band, che non smette di essere di essere ruspante e impolverato
come ci è sempre piaciuto. Se da un lato, quindi, una rock ballad solare come Living
In The Song, richiama alla mente dei Foo Fighters meno bellicosi ed è pronta
per numerosi passaggi in FM, l’iniziale Let Me Help You, col suo riff
stonesiano e un grande assolo che arriva direttamente dalla dispensa di Gary
Rossington, ci fa capire subito quale sia il mood prevalente del disco. I
Blackberry Smoke, nonostante qualche leggero imbellettamento, non snaturano la loro
fede nel rock e mantengono il tiro altissimo, sia quando si divertono ad
arroventare chitarre e violini nella travolgente title track, sia quando ruggiscono
nel passo lento dell’oscura Payback’s A Bitch, sia quando si inventano uno
spettacoloso assolo al pedale wah wah nel country rock sapido di California di
Too High. Una scaletta che fila rapida e orgogliosa dall’inizio alla fine, tra
rockettoni sudisti (Wish In One Hand) e ballate virilmente malinconiche (Woman
In The Moon) e che consegna a tutti gli orfani degli appena disciolti Black
Crowes un motivo valido per non abbandonarsi alla nostalgia.
VOTO: 7,5
Blackswan, martedì 03/03/2015
5 commenti:
visto che parlavi di orfani dei Black Crowes sono comparso.... :-)
Molta attesa da parte degli appassionati di southern rock?
Perché, esistono degli appassionati di southern rock? :)
Ti confesso che il primo impatto
è stato negativo, come se si fosse
perso qualcosa rispetto ai lavori
precedenti. Però, siccome voglio bene
a questi ragazzi, sto persistendo
nell'ascolto nel tentativo di
ravvedermi :)
Non è male ma c'è tanta musica di questo genere in giro..
@ Alessandro: consolati, dunque ! :)
@ Marco: rassegnati, Marco, siamo milioni :)
@ Monty: più lo ascolto, più mi piace. Cerca di ravvederti :)
@ Mr Hyde: però questi sono davvero bravi :)
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