Fortunatamente il moniker di Katie Crutchfield lo devo
scrivere e non pronunciare, perchè se no sarebbe un bel casino. Ma è anche vero
che Waxahatchee (il nome di un affluente del Coosa River, fiume
dell'Alabama) sia la cosa più originale inventata da questa giovane
ragazza americana, arrivata qui alla terza prova in studio. Un po’ cattivello
come inizio, vero ? Forse ho esagerato, però è anche vero che Waxaequalcosa non
faccia nulla per modificare un suono smaccatamente derivativo dagli anni '90
(Weezer, Breeders, etc…) nè, mi pare, che cerchi quello scatto
decisivo per uscire da un torpore che continua a produrre brani indie rock
innocui e scontati. Si sa, però, che certi artisti molto indie fanno
tendenza proprio perchè indie e che buona parte della stampa
specializzata proprio non riesce a parlarne male, anche se onestà vorrebbe.
Anzi, si snocciolano paragoni sempre più insistenti (e improbabili) con le
varie Sharon Van Etten e le PJ Harvey di turno. Ma al di là delle iperboli
trendy con cui la critica lustra il proprio curriculum a discapito degli
ascoltatori, basta qualche ascolto di Ivy Tripp per comprendere che toni tanto
entusiastici sono quanto meno impropri. Oddio, alla Crutchfield
perdoniamo la giovane età e un approccio acerbo alla composizione (quindi
confidiamo che il tempo possa portarle consiglio), riconosciamo il merito di
misurarsi con sonorità lo-fi che tengono basso il tiro e apprezziamo la
capacità di inventarsi ritornelli a presa facile, buoni per una fischiatina
sotto la doccia. Ma il quadro d'insieme ci impone di parlare di un album
altalenante, illuminato talvolta da sprazzi di luce (La Loose) ma spesso
propenso ad annoiarci, privo com'è di picchi compositivi e in balia
di una mediocrità che solo un pò di coraggio in più potrebbe emendare. In
prospettiva ci sono indubbi margini di miglioramento, ma forse non vale la pena
perdere tempo e ascolti preziosi per qualcosa che ora non c'è e che forse
non arriverà mai.
VOTO: 5,5
Blackswan, mercoledì 29/04/2015
Nessun commento:
Posta un commento