Eva Cassidy se ne è andata
prestissimo, a soli trentatre anni, proprio quando il fiore del suo luminoso
talento stava sbocciando in tutta la sua rigogliosa meraviglia. I greci antichi
dicevano che chi muore giovane è caro agli Dei: affermazione, questa, che se da
un lato aveva un intento consolatorio verso chi aveva prematuramente perso un
affetto, dall’altro sottintendeva qualcosa di più importante. L’idea, cioè, che
una bella morte in giovane età (la valenza del gesto estetico, peraltro,
contribuiva all’accrescimento del mito) strappava l’individuo all’oblio e lo
consegnava definitivamente all’eternità del ricordo e della leggenda. Era la
poesia degli eroi, che nell’antichità contribuì, ad esempio, a nutrire il mito
di Achille, e che, rapportata alla musica rock, ambito nel quale il dato
iconografico e la letteratura sono fondamentali, potrebbe valere, ad esempio,
per raccontare la fine di uno a caso dei deceduti appartenenti al numeroso club
dei 27. Ciò che gli dei riservarono per Eva Cassidy, invece, sembra più il
frutto di un ordito malvagio, che il desiderio di consacrare un immenso talento
artistico a fama imperitura.
Eva nasce a Washington il
due febbraio 1963 e, come molto spesso accade, è spinta alla musica dal padre,
con cui iniziò a esibirsi molto giovane in piccoli club della città. L’asticella,
però, si alzò solo più tardi (1986), quando la Cassidy fu notata dal produttore
Chris Biondo, il primo a intravvedere in lei doti interpretative non comuni. Il
gruppo con cui esordì, la Eva Cassidy Band, la collaborazione con un mito del
funk, Chuck Brown, e un disco, The Other Side, con lui realizzato nel 1992,
furono il trampolino di lanciò per una carriera che, però, stentò a decollare.
Tanto che la Cassidy, come succede a molti musicisti alle prime armi, non smise
di esercitare la professione di infermiera, che le consentiva di sbarcare il
lunario. Poi, sul finire del 1995, arriva la svolta che, davvero, potrebbe
cambiare il corso degli eventi. Eva molla il lavoro e con l’aiuto di Biondo, organizza
due serate al Blues Alley di Washington (il 2 e il 3 gennaio del 1996), un
piccolo localino jazz, che, nonostante le feste natalizie, rimase aperto per l’occasione.
L’intenzione è quella di pubblicare un disco con il meglio tratto dalle due
esibizioni. Il fato, tuttavia, si accanisce con la Cassidy: la registrazione
della prima serata va perduta per problemi tecnici; quella della seconda
serata, che confluirà in Live At Blues Alley, vede, invece, la Cassidy non in
perfette condizioni fisiche, causa un fastidioso raffreddamento. Sarà. Ma
quando Eva sale sul palco e inizia a cantare si aprono le porte del Paradiso. Perché
la Cassidy, come più di un critico non ha avuto esitazioni ad affermare, è
stata la più grande cantante di tutti i tempi. Basta ascoltare questo unico, e
sfortunatissimo esordio (il disco fu, ai tempi, un flop commerciale), per
rendersi conto di quanta duttilità fosse dotata la sua voce impossibile, capace
di rileggere e interpretare senza tentennamenti e con gusto originale ballate
soul da svenimento (People Get Ready di Curtis Mayfield), standard jazz già
passati attraverso ugole importanti (Autunm Leaves, Check To Check,What A
Wonderful World) e hit del pop contemporaneo, come Fields Of Gold di Sting. Eccola
lì sul palco, Eva, infreddolita e intabarrata, chitarra acustica o elettrica
tra le braccia, e una voce possente che cerca con forza lo spazio circostante
fino a riempirlo tutto, raggiungendo un’estensione concessa solo alle più
grandi di sempre. E non è un caso, a tal proposito, che la Cassidy venga spesso
paragonata a Aretha Franklin, anche se, per lo straordinario eclettismo e il
triste epilogo della propria vita, azzarderei un accostamento con un’altra straordinaria
cantante americana, Laura Nyro, la quale, guarda caso, morì nel 1997, proprio l’anno
successivo la dipartita della Cassidy. Già, perché Eva Cassidy, se ne andò per
un melanoma nel 1996, senza riuscire a vedere la pubblicazione dell’album che,
sperava, avrebbe potuto finalmente farla entrare nel firmamento luminoso dello
star system.
Tre anni dopo, è il 1999,
gli Dei, forse pentitisi del grande torto fatta alla musica e a quella povera e
appassionata cantante, decisero nuovamente di mettere mano al destino e di
cambiare il corso degli eventi. E da qui, nasce un’altra storia, una storia a
cui nessuno crederebbe, se non ci fossero inoppugnabili dati alla mano a
dimostrarlo. E’ una fredda mattina di novembre, quando Fred Taylor,
proprietario dello Scullers Club, un locale dove si suona musica jazz dal vivo,
mentre sistema le sue cose, mette sul piatto Songbird, uno raccolta postuma
della Cassidy, pubblicata l’anno prima. Ascolta la prima delle canzoni in
scaletta, la cover di Fields Of Gold di Sting, e quasi sviene dall’emozione. “Stavo
lì a studiare le mie carte e sono rimasto incantato - racconta Taylor al Boston Globe - mi sono fermato, ho
mandato indietro il pezzo e ho ascoltato con attenzione tutto il disco, traccia
per traccia. Me ne innamorai e decisi che dovevo assolutamente trovarla per
farla suonare nel mio locale".
Eva però non c’era più, era scomparsa tre anni
prima, senza essere riuscita a portare la propria musica fuori dagli angusti
confini di Washington. "Quando mi
dissero che era morta nel '96 mi disperai - ricorda Taylor - pensai che nella
mia carriera mi avevano entusiasmato molti artisti, avevo scoperto anche
qualche talento, ma 'Autumn Leaves' come la cantava lei, mi dava delle emozioni
mai provate prima". Taylor allora chiamò un amico che lavorava alla WBOS-FM, una radio locale di Boston, consigliandogli il
disco, e fu così che Songbird trovò spazio con sempre più frequenza nelle programmazioni
radiofoniche, suscitando fra gli ascoltatori un incontenibile entusiasmo. Il
nome di Eva Cassidy cominciò allora a circolare negli ambienti che contano e
Songbird scalò le classifiche di mezzo mondo, raggiungendo la prima piazza
delle charts britanniche e preparando terreno fertile all’ascesa di quel
fenomeno planetario che prenderà il nome di Amy Winehouse.
A
fine 2015, è uscito l’ennesimo disco postumo (Nightbird) che, però, a
differenza di tanti altri pubblicati dopo il successo di Songbird (pecunia non
olet), ha il merito filologico di recuperare l’intero concerto tenuto nel 1996
dalla Cassidy al Blues Alley. Le canzoni, originariamente dodici, diventano
quindi trentuno, e gli inediti assoluti sono ben otto (nel box set è contenuto
anche un artigianale dvd in bianco e nero che documenta la serata). Il livello
di questi brani, recuperati dall’oblio, resta comunque mostruoso, come
testimoniano la cover di Something’s Got A Hold On Me di Etta James e un’incredibile
Ain’t No Sunshine di Bill Whiters, solo per citarne alcune. Cresce così il
rimpianto di non aver visto all’opera questa straordinaria soul woman morta
prematuramente, che oggi avrebbe solo cinquantadue anni e sarebbe stata in
grado di mettere in fila tutte le Adele del pianeta.
Vallo a spiegare agli Dei cosa ci siamo persi.
Blackswan, martedì 19/01/2016
4 commenti:
Che poi secondo me Adele è un gran talento, ma questa qui è una cosa incredibile.
Gli dei pescano quasi sempre bene dal mazzo, ahimè.
@ Ezzelino: concordo: Adele è un gran talento. Ma qui siamo su un altro pianeta :)
Lo sto ascoltando in questo momento :)
@ Michele: Ottima scelta! Poi, dimmi se ti piace :)
Posta un commento