Quando escono raccolte di inediti
di artisti scomparsi, il mio buon senso mi dice subito di starne alla larga.
Perché tanto lo sappiamo che tutte queste operazioni sono motivate dallo scopo
principale di riempir le tasche a chi detiene i diritti del defunto, siano essi
case discografiche o parenti. Si chiama sciacallaggio, e noi tutti, fans e
appassionati, finiamo spesso per caderne in trappola e renderci complici. L’esperienza
insegna, però, che ci sono due forme di sciacallaggio: una cattiva e una buona.
Il primo caso, quello da ultimo più eclatante, è stata la pubblicazione, lo
scorso anno, di una raccolta di canzoni sotto la doccia (non saprei come altro definirle)
a firma Kurt Cobain: un’operazione indecente, che proponeva materiale inutile, senza
interesse né storico né artistico, con l’intento esclusivo di raggranellare
qualche soldino, con buona pace del compianto Kurt. Lo sciacallaggio buono,
invece, è quello che fa coincidere intenti meramente economici (questi ci
saranno sempre) con altri più nobili, come, ad esempio, regalare ai fans,
materiale che sarebbe, questa volta si, uno spreco tenere a impolverarsi nel
cassetto. E’ questo il caso di You And I, raccolta di canzoni (otto cover, un
inedito e un’alternative take di Grace) cantate e suonate da Jeff Buckley, e
dallo stesso registrate in un’unica sessione presso gli Shelter Island Sound di
New York. E’ il febbraio del 1993, Buckley, allora noto solo per essere il
figlio di Tim, non è ancora la star di Grace (l’album uscirà circa un anno e
mezzo più tardi), ma viene visto durante un’esibizione dal produttore Steve
Berkowitz, che ne rimane estasiato, tanto da portarlo in studio, per testare
fin dove possa arrivare il talento di questo giovane dalla voce d’angelo. Il
resoconto di quelle registrazioni è contenuto in You And I, che non è un vero e
proprio disco (manca la visione artistica che lega le canzoni fra loro), ma è
senz’altro una raccolta di brani degnissimi, cantati magistralmente dal giovane
e sfortunato Jeff. Se è vero che You And I non toglie e non aggiunge nulla alla
breve, ma folgorante, carriera di Buckley, è per converso vero che il materiale
resta comunque interessante, sotto diversi profili. In primo luogo, da un punto
di vista artistico, queste canzoni, nella loro scarna essenzialità, dimostrano
l’immenso carisma e la tecnica vocale (che di lì a poco sarà perfettamente
oliata) di un artista in grado di riempire con la sua sensibilità angelica il
vuoto lasciato dalla mancanza di arrangiamenti (peculiarità, questa,
ravvisabile, anche in Live At Sin-é. L’Ep live uscito a novembre dello stesso
anno). In secondo luogo, il valore di
You and I è anche storico: questo è il Jeff Buckley non ancora leggenda, quello
che cerca di emergere, non sfruttando la notorietà del padre, ma affidandosi
esclusivamente alle proprie capacità di interprete e compositore. Sotto questo
aspetto, ad esempio, acquista immensa importanza la prima versione mai edita di
Grace, cavallo di battaglia e title track dell’album che arriverà, e brano che
getta luce su un’abilità compositiva ancora in nuce, ma pronta ad esplodere di
lì a breve. Così come l’eterogeneità del repertorio, racconta assai bene dell’eclettismo
di un ragazzo, giovane ma con già una solida base di conoscenze musicali alle
spalle. Un ragazzo che sa spaziare egregiamente dal brit pop degli Smiths (da
brividi la cover di I know It’s Over, posta cinicamente, dagli autori, a fine
raccolta) all’hard rock dei Led Zeppelin (chi altri, oltre a Plant, poteva
cantare così bene Night Flight?), al folk di Dylan (Just Like A Woman è forse
la cover più interessante sotto il profilo dell’arrangiamento) e al blues del
Mississippi (la rilettura old style del traditional, Poor Boy Log Way From
Home). Se Dream Of You And I è, invece, solo un abbozzo di ciò che sarebbe
potuta diventare una grande canzone, il pezzo da novanta della raccolta è
Calling You (estratta dalla colonna sonora di Baghdad Cafè, consigliatissimo
lungometraggio del 1987 a firma Percy Adlon), originariamente interpretata da
Jevetta Steele, e riletta da Buckley con un intensità che sbriciola il cuore. In
definitiva, dunque, You And I, va a implementare una discografia postuma che,
rispetto a quanto solitamente accade, non ha mai infangato la figura di Jeff,
ma ha semmai regalato ai suoi fans la possibilità di riascoltare
(dignitosamente) la voce di uno degli artisti, che ha inciso in modo
significativo sul suono di una decade. Riposa in pace, Jeff: ancora una volta
la tua memoria è salva.
VOTO: 7
Blackswan, venerdì 25/03/2016
6 commenti:
Che perdita inestimabile per il mondo della musica, ascolterò volentieri questo disco. ;)
Il disco si fa sentire, anche perché Jeff Buckley è sempre Jeff Buckley.
La sensazione di sciacallaggio e di operazione sostanzialmente inutile comunque non se ne va...
P.S. Il tuo blog mi sa che è infestato da qualche virus. Ogni volta che passo di qui mi si disconnette automaticamente da internet. Non è uno scherzo.
@ Salvatore: una perdita incalcolabile, per Jeff e per il padre, Tim.
@ Marco: come ho scritto, è un caso di sciacallaggio buono.
PS: ho fatto un breve sondaggio fra alcuni lettori, e nessuno ha problemi. Non so davvero cosa succeda. Il mio pc è pulito: no porno, no facebook.
Abbastanza d'accordo con te:
You and I – Jeff Buckley | Conventional Records
https://conventionalrecords.wordpress.com/2016/04/07/you-and-i-jeff-buckley/
@ Conventionalrecords: la parola abbastanza è confortante :)Ho fatto un giro sul tuo bel blog e ti ho inserito nella nostra blogroll. Ciao :)
Grazie a te! E' un piacere :)
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