mercoledì 9 marzo 2016

JEFF SHEPHERD AND THE JAILHOUSE POETS - JEFF SHEPHERD AND THE JAILHOUSE POETS



L'ambizione maggiore di questo blog, oltre a quella di raccontare storie di musica, è soprattutto mettersi alla ricerca di artisti poco conosciuti e condividerli coi propri lettori. La soddisfazione, poi, è massima quando riusciamo a portare alla luce musicisti che diversamente sarebbero fagocitati dall'immenso sottobosco di quel rock emergente, destinato in realtà a non emergere mai. E' il caso di Jeff Shepherd, giovane e irsuto artista proveniente da Chicago, che a febbraio ha pubblicato il suo primo full lenght, affacciandosi con tante speranze sul mondo crudele dello star system. Il disco e il suo autore li ho incrociati per caso girovagando in rete, anche se, a parte il video di The Worst Withdrawal, il singolo apripista, e qualche video amatoriale, di notizie relative a Shepherd se ne trovano davvero pochissime. Così, mi sono messo all'ascolto praticamente al buio, consapevole solo, dopo aver letto le poche informazioni che compaiono sulla pagina Facebook dell'artista, di trovarmi di fronte a una band di Americana Country Punk e Rock 'n' Roll (sic!). Una definizione, questa, nella quale confluisce tutto e il contrario di tutto, e che, di primo acchito, lascerebbe perplessi anche gli ascoltatori più avventurosi. Tuttavia, se uno si fa accompagnare da una band (e che band!) che indossa un nome così suggestivo ("i poeti della prigione"), merita credito e tutta l'attenzione possibile. E poichè, talvolta, le intuizioni pagano, le undici canzoni che animano i tre quarti d'ora di durata dell'album risultano, almeno in alcuni casi, davvero interessanti. La proposta di Sheperd, per quanto strana possa sembrare la definizione riportata poco sopra, spazia effettivamente per tutti i generi indicati, con un più marcato accento roots dovuto al fatto che i Jailhouse Poets dispiegano il consueto armamentario di strumenti tradizionali, che comprendono fiddle, banjo (occhio al banjoista, Marco Sassman, perchè fa cose egregie) e lap steel guitar. Il disco si apre con Gone, che mi pare la canzone maggiormente rappresentativa del songwriting di Sheperd: up tempo country, con la lap steel in bella evidenza, mood malinconico, e una performance vocale di una sincerità commovente. Le sonorità rurali (con il banjo di Sassman a farla da padrone) tornano in Tragic Love e Sink Down, nelle quali tuttavia si avvertono anche accenti cowpunk e fragranze irlandesi (almeno per Tragic Love, il mio primo pensiero è corso ai Pogues). Dello stesso tenore è anche l'arrembante Forever Young, uno dei brani più riusciti dell'album, nella quale duellano, adrenalinici, banjo, violino e chitarra elettrica. In scaletta, tuttavia, c'è spazio anche per altro, e Shepherd trova modo di tirare fuori il rocker che è in lui: Jukebox Junkie è un gagliardo rock blues, giocato sull'interplay fra banjo e chitarra elettrica, mentre Ghosts spinge il piede sull'acceleratore del rock, e ci regala un ritornello di facile presa. Il singolo, The Worst Withdrawal, e Broken (Eric Church è dietro l'angolo), sono i due brani meno riusciti del lotto, non brutte ma, a mio avviso, prescindibili, mentre Son, ballata acustica che chiude il disco, manca di carattere e passa quasi inosservata. E a proposito di ballate, molto meglio sono California, e soprattutto Hold On, nostalgica riflessione sul tempo che passa, che gira dalle parti del miglior Jason Isbell. Consigliatissimo a tutti quelli che amano un suono marcatamente americano, Jeff Shepherd And The Jailhouse Poets  potete scaricarlo da ITunes o dal sito dell'artista, www.jeffsheperdmusic.com.

VOTO: 7





Blackswan, mercoledì 09/03/2016


Nessun commento: