Ho iniziato ad ascoltare
musica che ero poco più di un bambino. Tanta musica classica, presa in prestito
dalla discografia di mio padre e, il passo da lì è breve, tanto rock progressive.
I primi dischi li ebbi in regalo dal
figlio di amici dei miei genitori, il quale, deciso a cambiare radicalmente
vita, era in procinto di trasferirsi in India. Poco prima di partire, quel
ragazzo appena ventenne e dalla foltissima chioma bionda, si presentò alla mia
porta con due scatoloni di vinili: “preferisco regalarli a te”, mi disse, “ perché
mio fratello di musica non capisce un cazzo e finirebbe per farli ammuffire
sullo scaffale”. Il senso di gratitudine che provai per quel giovane, che
qualche anno dopo mori per un overdose di eroina, l’ho provato poche altre
volte nella mia vita. I suoi dischi, infatti, non solo li consumai, ma li
conservo tuttora con scrupoloso affetto. Fu così che la mia scarnissima discografia
dell’epoca divenne una ricca cornucopia da cui attingevo a piene mani classici
del prog rock a firma King Crimson, Genesis, Van Der Graaf Generator, Yes,
Jethro Tull, Gong, ELP e Premiata Forneria Marconi. Quando qualche anno dopo
scoprii il punk, Bruce Springsteen e tante altre band provenienti dagli Stati
Uniti, presi sempre di più le distanze da quella musica che, di fronte alla
spericolata velocità dei “fratelli” Ramones, suonava ormai anacronistica come
una messa in latino. Tuttavia, a prescindere dal giudizio che oggi posso esprimere
sul progressive, una cosa è fuor di dubbio: quei virtuosi, che talvolta
spingevano le loro doti tecniche fin sulle soglie di uno stucchevole parossismo,
hanno allenato le mie orecchie a distinguere fra un buon musicista e uno
mediocre. Il merito della mia consapevolezza, ed ecco il senso di questo lungo
preambolo, va in parte anche a Keith Emerson, funambolico tastierista, membro
fondatore dei Nice e degli ELP. Keith Emerson se ne è andato ieri: si è sparato
un colpo di pistola alla testa. Non riusciva più a convivere con una malattia
degenerativa che in poco tempo gli avrebbe precluso la possibilità di
utilizzare la mano destra. Già da qualche tempo suonava con solo otto dita (due
erano irrimediabilmente compromesse) e aveva perso la forza e la velocità che
da sempre contraddistingueva il suo stile. Ha dovuto scegliere se essere
ricordato come un incredibile virtuoso o trascinare la propria musica nell’avvilente
crepuscolo di un destino segnato. E ha scelto. In quel modo esagerato e
guascone con cui da sempre strapazzava Hammond, Moog e pianoforti. Perché Emerson
(Dio, quanto l’ho amato per questo!) non era solo un musicista con uno
straordinario background classico e una tecnica che rasentava la perfezione,
non si limitava al virtuosismo perfettino per strappare l’ammirato applauso del
pubblico pagante; Keith era, lasciatemelo scrivere, il Jimi Hendrix della
testiera: uno bruciava le chitarre, l’altro accoltellava pianoforti.
Velocissimo e preciso, ma al contempo muscolare e sanguinario, Emerson
sbalordiva per la furia estatica con cui spremeva dai propri strumenti migliaia
di note, e sperimentava, senza tregua, nuove strade, portando sul palco, per la
prima volta, quella monumentale macchina da guerra elettronica chiamata Moog. Molti
hanno parlato della musica di Emerson utilizzando il termine megalomania. Io
preferisco pensare che quell’esondazione di creatività fosse frutto, non di un
ingestibile delirio di onnipotenza, ma di una sana incapacità di accettare i
limiti di uno strumento, di una musica, della tecnica con cui la suonava. Da quei
giorni gloriosi, sono passati decenni di compromessi al ribasso, che gli
avevano forse donato una straordinaria agiatezza economica, ma avevano finito
per appannarne la gloria. L’ultimo di questi compromessi Keith non lo ha
accettato, preferendo il rumore di una pallottola, al silenzio di un
inesorabile declino.
Blackswan, sabato 12/03/2016
1 commento:
Amico, lasciatelo dire: hai espresso alla perfezione quello che ha rappresentato quel genio di Emerson. Io i vinili di progressive li ho rubacchiati a mio fratello maggiore. Ed a quel genere sono rimasto ancorato, non avendo seguito le sirene del punk. Proprio per i loro (eccessivi?) virtuosismi, non mi sono mai appassionato agli ELP quanto mi è capitato di fare con i Genesis, gli Yes od i Gentle Giant. Tuttavia, alcuni loro brani rimarranno colonna sonora della mia vita.
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