1983. Vacanze estive: temporale
improvviso, precipitosa fuga dalla spiaggia. Troviamo riparo alla fine di un
3000 siepi di livello olimpico sotto il nostro tendone. Una roba militare del
genere Gladio vs Comunismo. Una sistemazione vergognosa acquistata per poche
lire qualche mese prima. Vien giù che dio la manda. Resistiamo abbarbicati ad
una scialuppa di salvataggio estemporanea, un insieme di cavalletti e tavoloni
da cantiere che fino a qualche ora prima si adoperavano per dare robustezza e
ampiezza al tavolo da pranzo. L’ondata arrivò dalla collinetta alle nostre
spalle, un fiume d’acqua e fango che trascinò via tutto ciò che incontrava
sotto i nostri piedi: vestiti, sacchi a pelo, provviste. Il mio amico Stefano
decise che la peggiore giornata estiva del secolo andava celebrata, stappò
l’ennesima bottiglia, e subito dopo cominciò a strimpellare Blister In The Sun. Noialtri dietro, in
coro, imitando la voce di Gordon Gano e percuotendo con cucchiai e forchette il
tavolato e il pentolame sopravvissuto alla piena. L’happening proseguì per
tutta la durata del micidiale nubifragio. Fu la nostra personalissima
trasposizione dell’orchestra del Titanic. Loro affogarono con Strauss, noi
quasi con i Violent Femmes. In quel campeggio forse nessun'altro sapeva chi fossero
i tre di Milwaukee, come non sapevano che il loro disco d’esordio era stato
celebrato con commenti entusiastici da tutte le riviste Rock dell’epoca. Una
cosa è certa, il giorno dopo, sotto un sole assassino che si era riproposto con
un’arroganza ferragostana fuori luogo (era solo luglio), tutti i vicini di
tenda canticchiavano Blister in The Sun
mentre, riflettendo sulle bizzarrie del tempo, rimettevano in piedi tende e
bivacchi. Fu un successone: noi con loro fino alla fine di quel campeggio, fino
alla fine di quel periodo di divertimento e gioventù.
Let me go on like I
Blister in the sun Let me go on Big hands, I know you're the one.
Questi sono i miei Violent Femmes,
un temporale fuori stagione. Come d’altronde fu il loro avvento sulle scene
musicali quando la Slash licenziò il loro primo incredibile e irripetibile
album, un groviglio acustico di Folk stralunato, Country alcolico e Garage Punk
demenziale. Geniale quanto anacronistica mistura debitrice ai Modern Lovers di
Jonathan Richman e ai Velvet Underground. Poi arrivarono Hallowed Ground (1984) e, a completare un'ideale trilogia, The Blind Leading The Naked (1986).
Altri dischi belli e meno belli si succedettero negli anni tra litigi feroci,
scioglimenti e improvvise reunion sui quali è inutile dilungarsi. Il culto per
i Violent Femmes era già stato certificato con il loro esordio, quello con la
bambina che s’affaccia ad una vecchia finestra di un fabbricato abbandonato: un
temporale fuori stagione da un milione di copie, un disco 5 stelle, anzi da 5
milioni di stelle. In paradiso non sempre possono vantarne altrettante!
Anticipato dall’EP Happy New Year di qualche mese fa arriva ora sugli scaffali We Can Do Anything. Solo una mezza
sorpresa quindi per i tanti supporter della band americana che mancava
all’appuntamento con un nuovo album da Freak
Magnet del 2000. Ripartono praticamente da zero, modalità da esordienti, il
disco è sostanzialmente autoprodotto (Add It Up). La formazione comprende i
riappacificati Gordon Gano e Brian Ritchie con alle percussioni il bravo Brian
Viglione, ultimo tra gli avatar che negli anni bui delle Femmes si sono avvicendati al posto del leggendario Victor De
Lorenzo. Il disco parte benissimo e nei primi tre brani ci sono tutti i Violent
Femmes che possiamo desiderare. Memory
è una outtakes proveniente dalle lavorazioni di Violent Femmes, potenziale hit che avevano incredibilmente
scartato. I Could Be Anything,
whiskey song alla maniera dei Pogues più debosciati, è una canzonaccia
esilarante da ultimi posti sul bus delle gite scolastiche, Issues la ballatona lacrime di coccodrillo post sbronza. Negli
altri brani il mood non cambia: anarchia compositiva assoluta, retrovisore
rivolto ai loro esordi. L’affermazione che dà il titolo al disco, “Possiamo
fare qualsiasi cosa”, potrebbe trarre in inganno; verrebbe da dire, invece, che
fanno quello che sanno fare meglio: musica strampalata e primitiva senza
steccati stilistici ad irreggimentare la loro natura di “buskers” impenitenti.
La stessa musica che suonavano più di 30 anni fa per le strade del centro di
Milwaukee (con l’equipaggiamento strumentale più esilarante della storia) dove
vennero notati dai Pretenders che li vollero in tour con loro. Ma questa
vicenda è già stata raccontata centinaia di volte e la conoscete tutti. Non
rimane altro da dire, bentornate Femmine Violente!
VOTO: 7
Porter Stout, domenica 13/03/2016
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