C'era una volta una band chiamata Red Hot Chili
Peppers, che nella seconda metà degli anni '80 e a inizio anni '90, in piena
epoca grunge, spostava l'attenzione del mondo da Seattle a quello di Los
Angeles, suonando un travolgente crossover, abbondantemente irrorato da benzina
funk. Dopo due capolavori (Mother's Milk del 1989 e Blood Sugar Sex Magik del
1991) e l'abbandono del chitarrista storico, John Frusciante, uscito dal gruppo
proprio nel momento della svolta, iniziò un oscuro interregno, con il
funambolico Dave Navarro, ex adepto al culto di Jane, alle sei corde, e un
disco, One Hot Minute (1995), che vendette la metà del predecessore, ma che
oggi merita di essere rivalutato per quel suono virato al noise che
rappresenta un unicum nella carriera della band. Da questo momento in poi,
iniziò un'altra storia: John Frusciante ritornò all'ovile (sempre seguire
la scia dei soldi) e i RHCP svoltarono verso il mainstream e il
suono radio friendly, pubblicando un disco, Californication, che diede un
colpo di spugna definitivo al passato. Californication, a onor del
vero, era un grande album, non c'è che dire, ma segnò in modo indelebile
la svolta pop della band, che condurrà, di lì a breve, anche all'inevitabile
declino artistico (di soldi, invece, continuarono, e continuano, a
farne tantissimi). Il resto della discografia è una parabola discendente verso
l'inutilità, culminata con I'm With You, cacatina stitica datata 2011, e
quest'ultimo The Gateway, che segna l'abbandono dello storico produttore Rick
Rubin, in favore del più ggggiovane e hipster Danger Mouse (Nigel Godrich -
Radiohead - si rende complice del disastro in fase di missaggio). Cambia
qualcosa? Si, qualcosa cambia e in peggio. Il fatto è che ci troviamo di fronte
a una band che raschia il barile di una creatività in debito d'ossigeno e se
non era riuscito il buon Rick Rubin a tenere in piedi la baracca, figuriamoci
Danger Mouse. Il quale, infatti, fa danni irreversibili, leccando
all'inverosimile quello che era già piatto come il mare in bonaccia o un
encefalogramma terminale. C'è più plastica in The Getaway, infatti, che in una
confezione magnum di Lego: Danger (omen nomen) cerca di ringiovanire il suono
per renderlo appetibile a un pubblico di quindicenni dalla bocca buona e,
guarda un po’, centra perfettamente il bersaglio. Inodore e insapore come
un'apericena prima di una capatina all'Hollywood, The Getaway si fregia di una
produzione così arrogante e indisponente da far apparire un discorso di
Renzi come un umile atto di contrizione. Tra ritornelli pacchiani, enfasi
caramellosa, ritmiche dance ed elettronica a buon mercato, arrivare alla
fine del disco è impresa per stomaci di ferro o per braveheart disposti a
tutto (provate voi a tenere a bada gli istinti suicidi durante l'ascolto
di Sick Love, uscita dalla penna di Elton John e Bernie Taupin). Insomma, sotto
una patina rock, retaggio di un'epoca ormai lontanissima, batte forte il
cuore pop di una band che viaggia sulle coordinate artistiche di una Katy
Perry qualsiasi, tanto che, al confronto dei nuovi RHCP, anche gli U2 (e dico
gli U2), sembrano ringhiare come un giovane combo di trash metal. Tuttavia, se
vogliamo a tutti i costi inaugurare il momento Titanic, cioè quel momento della
recensione di un brutto disco, in cui si buttano salvagenti a destra e a manca
per vedere di salvare qualcosa, bisogna dire che la copertina non è male, che
qualche giro di basso Flea ancora lo azzecca e che le prime tre canzoni del
disco sono meno brutte di tutte le altre. A dispetto di quanto
scritto sopra, sappiate però che The Getaway venderà benissimo, che
Dark Necessities (quell'osceno handclapping mi porterà al delirio) ci frantumerà le palle per tutta l'estate, comparendo all’improvviso
tra un Alvaro Soler e l'altro, e che Kiedis e soci avranno agio di
comprarsi qualche altro appezzamento di terreno con villa, dalle parti di
Malibù. Tuttavia, quando troverete sul web o sulle riviste specializzate una
buona recensione del disco, ricordatevi che chi l'ha scritta, con molta
probabilità, è stato profumatamente pagato per farlo oppure è così
nostalgico dei vecchi tempi, da non rendersi conto che i Red Hot
Chili Peppers da anni, ormai, sono più attenti al conto in banca che al
pentagramma. Io, un disco così, non lo consiglierei nemmeno ai miei peggiori
nemici. O forse si...
VOTO: 4
RECENSIONE PRIVATA di THE GETAWAY dei RED HOT CHILI
PEPPERS indirizzata a Mino*, Gino** e Pino***
Ciao ragazzi, tutto bene? Vi scrivo per dirvi che ho
ascoltato il nuovo lavoro dei Red Hot Chili Pepper ed è veramente favoloso,
forse anche meglio di Blood Sugar Sex Magik. Grandi canzoni, pezzi infuocati,
devastanti tirate funk rock e una produzione scarna, essenziale, che mette in
luce tutta la carica di una band mai in palla come oggi. Insomma, i Red Hot
sono tornati quelli di un tempo e fra le note di questo disco si torna a
respirare l'aria di quei mitici e selvaggi anni '90 che ci piacevano
tanto. Un unico avvertimento: il disco non scaricatelo, non fate i braccini
corti, andatelo a comprare. E' talmente bello ed emozionante che non può
mancare nella vostra discografia. Fidatevi. Un abbraccio affettuoso dal vostro
amicone.
* Mino è quel figlio di troia che mi ha
fottuto la donna
** Gino è quel bastardo che mi ha rigato la
macchina
*** Pino, invece, non mi ha mai fatto nulla. Mi sta
sul culo così, al naturale.
Blackswan, martedì 21/06/2016
9 commenti:
Signora mia, non ci sono più i Red Hot di una volta :)
Una sofferenza, soprattutto pensando ai Red Hot pazzeschi che ho adorato negli anni 90'. Si sono venduti un tanto a nota...
Per fortuna non l'ho comprato!
Fanno tutti così.
Comunque grazie della recensione, correvo il rischio di ascoltarlo, 'sto disco, ma il disgusto con cui l 'hai recensito mi ha convinto di no.
Il mercato degli adolescenti è molto ambito.
@ Alli: direi proprio di no :)
@ Lucien: e hai fatto benissimo. I bei tempi sono lontani anni luce...
@ Bill Lee: consiglio vivissimo: dedicati ad altro :)
@ Berica: purtroppo, si :(
ma soprattutto, quando inserisci nel gruppo Klinghoffer dai subito un segnale chiaro: farò a meno del rock, del funky, di un suono decente e di una chitarra...
Black, non avrei mai voluto dirtelo, ma quello che ti ha bruciato il poster di Zanetti..... beh, è stato proprio Pino.
:))
Un abbraccio.
"Stadium Arcadium" lo avevo buttato via dopo circa 20 giorni, "I'm With You" dopo una settimana, "The Getaway" dopo 3 giorni. Mai ascoltato una porcata di disco del genere (io che pure ne ho avuti a tonnellate); quello che mi fa rabbia e' leggere in giro sul web commenti entusiasti sull'opera da parte di media organ venduti (come hanno fatto loro al business delle major dopo BSSM, accecati dalla voglia di denaro e fama) e magari di qualche pischello dell'era 2.0 che se gli fai ascoltare "Mother's Milk" ti dice che fa schifo.
@ Melonstone: :)))
@ Granduca: ecco chi è stato! Quel bastardo ! :)
@ Anonymous: purtroppo, caro Anonymous, la critica musicale spesso è prezzolata. Oppure, cosa che mi sono sentito dire anche io, " se ne devi parlare male, meglio non parlarne". Certo, per scrivere bene di un disco così, ci vuole davvero il pelo sullo stomaco...
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