E’ difficile,
se non impossibile, raccontare il nuovo disco di Nick Cave, senza prima
soffermarsi a riflettere sul concetto di arte. In tal senso, giova chiedersi
cosa noi intendiamo per arte. Si potrebbe tener buona quella definizione per
cui l’arte è l’espressione estetica della interiorità umana. Una definizione
appropriata, che però contiene un intrinseco limite racchiuso nella parola
“estetica”. L’arte, per essere tale, deve possedere, infatti, un’estetica, un
linguaggio, una cifra formale che la trasformi in messaggio universale.
Diversamente, tutto ciò che proviene dal nostro interiore, potrebbe fregiarsi
di un valore che in realtà non ha. Non basta, dunque, la manifestazione di un
palpito, un dolore, una gioia per renderci artisti; né sono di per sé
sufficienti un’intuizione o un colpo di genio. Il talento, perché possa essere
compreso, deve essere codificato, deve possedere consapevolezza, deve esser
frutto di un ragionamento aprioristico e programmatico. Diversamente, anche una
grande illuminazione evapora nel silenzio dell’incomprensione altrui. Perché
l’arte sia tale, quindi, il soliloquio interiore e il linguaggio della nostra
intimità devono farsi universali. E ciò avviene attraverso l’esercizio
culturale più difficile: il distacco dalla materia. A prescindere da ogni
valutazione sui suoi contenuti, Skeleton Tree, sedicesimo capitolo della
discografia di Nick Cave in condominio con i suoi Bad Seeds, viola palesemente
l’assunto di cui sopra. Alla genesi del nuovo disco, infatti, c’è la morte del
figlioletto di Cave, Arthur, precipitato da una scogliera nel luglio dello
scorso anno, probabilmente sotto l’effetto di sostanze psicotrope. Una tragedia
immensa, questa, che incombe come un macigno su ogni singola nota del disco.
Che non è l’opera, ancorché sofferta, di un uomo che cerca di rielaborare un
lutto; Skeleton Tree è, invece, il lutto stesso. Nessuna distanza dalla
materia, dunque: Nick Cave non parla del dolore, semmai lo vive, nota dopo
nota, parola dopo parola. Manca, pertanto, ogni forma di rielaborazione
artistica, cosìcche il de prufundis caveiano diviene soliloquio, narrazione
fine a sé stessa, ossessivo rimuginare sulla propria anima lacerata. A ben vedere,
quindi, questo immenso dolore ha il linguaggio di un intimismo esasperato e non
riesce mai a tradursi in dialogo con l’ascoltatore. Resta lettera morta,
ripetuta ossessivamente a sé stesso. La tenebra, i fantasmi, il senso di
tragedia imminente avvolgono del loro manto nero ogni afflato vitale,
impendendo la condivisione con il mondo circostante, con il pubblico. L’aura
crepuscolare e notturna, che da sempre ammantava Cave, non a caso definito Re
Inchiostro, perde il valore letterario di escamotage artistico, e si trasforma
in realtà. Non ci sono più filtri e le livide ombre della notte divengono il
quotidiano dell’esistenza. Così, brani come Jesus Alone, Magneto, Anthrocene,
per citarne alcuni, raccontano una sofferenza che possiamo solo intuire, che
percepiamo incombente e soffocante, e di cui comprendiamo il motivo, ma che,
alla resa dei conti, non riusciamo mai a sentire come nostra. Anzi, per
assurdo, questa musica, così dolorosamente enfatica, finisce per suonare
fredda, e vive a distanza siderale dalle nostre anime, almeno rispetto a quelle
anime che non sono mai state toccate da un dolore tanto totalizzante. E’,
dunque, arte, questa? No, non lo è. E, per arrivare al cuore della narrazione
che a noi interessa, Skeleton Tree è un buon disco? Riascoltato, più e più
volte, io non ho ancora una risposta certa. Il limite è tutto personale:
ammetto con franchezza che non riesco a comprendere queste canzoni fino in
fondo e per quanto nutra per Cave sentimenti affettuosi di lunga data,
preferisco sospendere il giudizio piuttosto che darne uno parziale o inesatto.
Perché, qui, ne converrete, la musica è solo un pretesto: ovunque, infatti,
risuona l’Apocalisse, e la morte aleggia inquietante, mentre un uomo si mette a
nudo, nella disperazione di una disgrazia esiziale. Posso giudicare la musica,
non il dolore altrui. Distanza dalla materia.
VOTO: Per le
ragioni poc’anzi espresse, ritengo superfluo inserire un voto.
Blackswan, giovedì 15/09/2016
5 commenti:
Grande recensione.
@ Silvano: Grazie ! :)
Sono d'accordo.
Mi levo il cappello, grande Nick. (tutti e due)
Per quanto mi riguarda invece la musica di Nick Cave non mi ha mai emozionato un granché, a parte qualche singolo brano, mentre con questo album è riuscito a toccarmi nel profondo per la prima volta.
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