Bisognerebbe spiegare a rottamatori e modaioli che
l'età non conta mai, perché le uniche cose che hanno valore nella
vita sono il talento, la passione, la sensibilità. Ne deriva che la
musica non necessita di certificazioni anagrafiche e che, dunque, si può
fare un gran disco a vent'anni così come a settanta. Basta avere le idee giuste
e la voglia di mettersi in gioco. Judy Collins, oggi, è una bella signora di
settantasette anni, con alle spalle più di mezzo secolo di storia (e di
leggenda). Ventotto dischi in studio, un discreto numero di live, una mezza
dozzina di singoli finiti nella Billboard Hot 100, due dischi di platino e
quattro d'oro, sono il pedigree di chi potrebbe tirare i remi in barca e
godersi la pensione in grazia di Dio. Niente di tutto questo,
però. Judy Blue Eyes non molla una nota, si tiene stretto al cuore il pentagramma
e continua a rilasciare dischi con inaspettata vitalità (tra album in studio,
live e raccolte, dall'inizio del nuovo millennio, ha pubblicato un disco
all'anno). Ma il punto non è il numero delle pubblicazioni, quanto semmai il
livello qualitativo della proposta. Se Strangers Again, il disco di duetti
uscito l'anno scorso, era eccellente, Silver Skies Blue è, alla resa dei conti,
anche meglio. Andiamo, però, con ordine. La Collins da qualche anno
ha intrecciato una relazione professionale e di amicizia con Ari Hest, un
trentasettenne songwriter originario del Bronx, con una carriera solista
consolidata da più di dieci album. Collins e Hest hanno duettato insieme in
Strangers Again e poi sono partiti per un lungo tour. Il pigmalione artistico,
nonostante la differenza di quarant'anni fra i due, è funzionato così bene da
sfociare in qualcosa di ancora più importante. Nasce così Silver Skies
Blue, che è in assoluto il primo disco della Collins realizzato interamente in
condominio con un altro artista e con molte delle canzoni in scaletta
scritte a quattro mani. Non tutto il materiale è nuovo: le bellissime The Weigh
e Aberdeen provengono dal repertorio di Hest, Strangers Again, presente
nell'edizione deluxe, è la title track del disco precedente, mentre la
malinconica Home Before Dark è la rilettura di un vecchio brano
della Collins preso da Fires In Eden, full lenght del 1990. Poco
importa, perchè questi brani si amalgamano perfettamente con le nuove
canzoni, formando una scaletta omogenea, in cui il fille rouge è l'interplay
fra le due voci, il soprano cristallino della Collins (a cui il tempo ha tolto
poco o niente) e il timbro da crooner di Hest. Disco di ballate, suonate
con eleganza da un ottimo gruppo di sessionisti (Russel Walden al pianoforte,
Zev Katz al basso, Doug Yowell alla batteria e Gerry Leonard alla chitarra
elettrica), Silver Skies Blues si muove attraverso quei territori folk pop nei
quali la Collins si destreggia alla perfezione, evocando nostalgici
echi californiani (I Choose Love), sfiorando mood ombrosi (la citata The
Weight) e schiudendosi in ariosi e solari soundscapes (Drifting Away). A
vestire i panni dell'avvocato del diavolo, si potrebbe forse obiettare che
arrangiamenti appena più asciutti avrebbero giovato maggiormente alla resa finale
del disco. Ma, in fin dei conti, si tratta di inezie. Quel che conta
davvero sono le canzoni, e in Silver Skies Blue sono tutte bellissime.
VOTO: 8
Blackswan, mercoledì 14/09/2016
1 commento:
Mitica!!
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